È possibile retribuire come lavoratore autonomo occasionale chi prima era pagato con i buoni lavoro?
Sono tanti i dubbi e le difficoltà emerse a seguito dell’
abolizione dei voucher: in particolare, ci si chiede quale forma contrattuale possa sostituire validamente i
buoni lavoro per retribuire chi presta la propria opera occasionalmente.
Si è molto parlato, in particolare, di
mini jobs o dell’adattamento, con meno limiti, del
contratto a chiamata:
tuttavia, queste soluzioni non possono essere adottate immediatamente,
in quanto, anche laddove la legge non sia necessaria e si provveda a
creare nuove forme contrattuali con gli
accordi di prossimità, occorre parecchio tempo per porre in essere i passaggi necessari.
Quale contratto adottare, dunque, nell’immediato? In molti pensano al
lavoro autonomo occasionale: vediamo subito, allora, come funziona questo tipo di contratto e se può essere adatto a sostituire i voucher.
Lavoro autonomo occasionale
Per capire che cos’è il lavoro autonomo occasionale dobbiamo innanzitutto capire che cos’è il
lavoro autonomo. È definito dal codice civile
[1] lavoratore autonomo quel soggetto che svolge a favore di un committente un’opera o un servizio, con
lavoro prevalentemente proprio,
senza vincolo di subordinazione, fuori dal coordinamento del
committente e senza inserimento funzionale nella sua organizzazione.
Il
contratto di lavoro autonomo può essere concluso in forma scritta o anche verbalmente.
Si ha
lavoro autonomo occasionale quando la
prestazione ha natura discontinua o saltuaria: in pratica, oltre a
realizzarsi i requisiti del lavoro autonomo, la prestazione deve essere
resa in modo non prevalente e
non abituale.
L’attività di lavoro occasionale si distingue dunque dalle attività
di lavoro autonomo svolte abitualmente (anche in maniera esclusiva), che
caratterizzano l’esercizio di una
professione: queste ultime, peraltro, obbligano il professionista all’apertura di una
partita Iva
e di una posizione previdenziale. Il lavoro occasionale autonomo,
invece, non obbliga all’apertura di una partita Iva, ma solo
all’apertura di una posizione presso la
Gestione Separata, se si superano i 5.000 euro di compensi annui.
Lavoro autonomo occasionale: i limiti
Peraltro, il limite dei
5.000 euro annui si
riferisce alla sola iscrizione presso la Gestione Separata dell’Inps (i
contributi sono dovuti nella stessa misura prevista per i cococo). Non
esistono, invece, dei limiti di reddito o relativi alle giornate di
lavoro svolte per stabilire la sussistenza, o meno, dell’
occasionalità, in quanto è necessario valutarla volta per volta.
In pratica, anche se si superano 5.000 euro di compensi in un anno o
30 giornate di lavoro, non è obbligatorio aprire la partita Iva (questi limiti erano validi per le
mini cococo, abolite dal 2015 ad opera del
Jobs Act [2] ed erroneamente sono ritenuti da alcuni validi per il lavoro autonomo occasionale).
Ad ogni modo, anche se non è richiesta l’apertura della partita Iva, ciò non significa che i compensi non siano
tassati: su di essi, difatti, deve essere applicata la
ritenuta d’acconto, pari al
20%
dell’imponibile (se il committente è sostituto d’imposta, diversamente
non deve essere applicata alcuna trattenuta); compensi e ritenute devono
poi essere inseriti nella
dichiarazione dei redditi, tra i redditi diversi, perché sia determinata l’imposta dovuta a titolo definitivo.
Lavoro autonomo occasionale: per quali attività
Vediamo ora per quali attività è possibile utilizzare il lavoro autonomo occasionale al posto dei voucher.
Va fatta innanzitutto notare una differenza fondamentale: i voucher erano utilizzati per retribuire il
lavoro occasionale accessorio, mentre in questo caso parliamo sì di lavoro occasionale, ma
autonomo.
Lo spartiacque è dunque dato dall’autonomia: in buona sostanza, i
voucher potevano essere utilizzati anche per retribuire un’attività
autonoma occasionale, assieme a tutte quelle attività definite
marginali per la loro discontinuità.
La fattispecie del lavoro autonomo occasionale, invece, non può
essere utilizzata per tutte quelle attività prima pagate con i buoni, ma
solo per quelle caratterizzate da un certo grado di
autonomia.
In pratica, perché ci sia autonomia non deve esserci alcun vincolo di
subordinazione, né
coordinamento (diversamente parleremmo di cococo) o
inserimento funzionale nell’organizzazione del committente.
Di conseguenza, perché si possa retribuire un’attività come lavoro
autonomo occasionale bisogna dimostrare, possibilmente documentandolo
nel contratto, che effettivamente sussista un’autonomia nella
gestione dell’attività da parte del lavoratore, come ad esempio la libertà nell’organizzare il proprio lavoro.
note
[1] Art. 2222 Cod. Civ.
[2] D.lgs 81/2015.