Tari: come pagare il giusto
https://www.laleggepertutti.it/229821_tari-come-pagare-il-giusto
Cosa
controllare sull’avviso di pagamento, quali possono essere gli errori e
cosa fare se l’importo della tassa rifiuti è sbagliato.
Quel che è dovuto è dovuto. Ma quel che si può evitare, perché
pagarlo? Oltretutto, visto che già di tasse ne versiamo fin troppe, non è
il caso di regalare al Comune dei soldi per una
Tari con l’importo sbagliato.
Come pagare il giusto di
tassa sui rifiuti?
Sapendo quando spetta versarla, quando c’è l’esonero, come viene
calcolata e che cosa fare nel caso in cui ci arrivi il conto errato.
I parametri fondamentali per sapere
quanto si deve pagare di Tari sono
due: la superficie ed il numero di persone che vivono in quella casa.
Quindi conta quanto è grande l’immobile ma anche la composizione del
nucleo familiare. Questo per rispettare un vecchio principio (voluto
anche dall’Europa) secondo cui chi produce più rifiuti deve pagare di
più. Forse chi ha avuto questa intuizione ha dimenticato di inserirci la
parola «potenzialmente». Non è dimostrabile, infatti, che tre persone
con un certo comportamento abbiano il secchio della spazzatura più pieno
rispetto a chi vive da solo ed ha un altro tipo di atteggiamento. Il
single che, ad esempio, è abituato a comprare del cibo confezionato
produrrà più rifiuti di carta e di plastica rispetto alla famiglia che
compra la carne dal macellaio, il pesce dal pescivendolo e la frutta e
la verdura sciolte e si cucina tutto a casa riducendo l’immondizia al
minimo possibile. Non è dimostrabile, dicevamo. Ma è ipotizzabile e,
pertanto, appunto, possibile. Resta da capire come adempiere all’
obbligo di pagare la Tari e come versare quello che è giusto, senza aggiungere «mance» al Comune. Vediamo la procedura ed i parametri giusti per il
calcolo della tassa sui rifiuti.
Tari: l’obbligo di dichiarazione
La legge impone ai cittadini di presentare al Comune una dichiarazione di
inizio occupazione dei locali.
Significa, per quanto riguarda le abitazioni, che bisogna dire in
Municipio che stai vivendo in quell’appartamento. Di norma, la
comunicazione deve essere fatta
entro il 30 giugno
dell’anno successivo a quello in cui si occupano di fatto i locali. Se,
ad esempio, vado a vivere nella mia nuova casa a febbraio 2019, dovrà
presentare in Comune la dichiarazione di inizio occupazione entro il 30
giugno 2020. Attenzione, però: alcuni enti locali hanno disposto delle
date diverse, quindi è sempre meglio informarsi presso il proprio
Municipio.
C’è anche da dire che non sempre questa comunicazione è obbligatoria.
Succede spesso, infatti, che l’inizio occupazione dei locali venga
fatta coincidere «in automatico» con il trasferimento da un Comune ad un
altro e l’
iscrizione all’ufficio anagrafe del
Municipio in cui si va a risiedere. A quel punto, l’anagrafe chiede di
rilasciare all’ufficio tributi del Comune i dati per
pagare le tasse come la
Tari.
Se ci sono dei cambiamenti che riguardano la composizione del nucleo
familiare, non vanno dichiarate all’anagrafe, in quanto il Comune è in
grado di ricavare il dato direttamente da questo ufficio. Ciò che
bisognerà comunicare successivamente, sempre entro il 30 giugno
dell’anno successivo o entro la data fissata dal singolo ente locale,
saranno eventuali
modifiche della superficie dell’immobile (mettiamo il caso di una ristrutturazione in cui «si allarga» la casa con qualche locale in più) e della
destinazione d’uso. La
mancata comunicazione comporta una
sanzione dal 50% al 200% della tassa sui rifiuti non versata.
Ovviamente, il cittadino è tenuto a far sapere al Comune
dell’eventuale abbandono dell’immobile: solo così potrà evitare di
pagare la Tari per una casa in cui non abita più.
Tari: se non occupo una casa devo pagare?
Immagina di avere una
seconda casa e di decidere di
trasferirti per un periodo di tempo, magari per motivi di lavoro o
perché hai un’attività di telelavoro e hai voglia di cambiare aria,
tanto ti basta una connessione ad Internet e puoi svolgerla dove ti
pare. L’abitazione che occupi normalmente resta, dunque, vuota per un
tot di mesi.
Devi pagare la Tari?
Intanto devi stare attento a non confonderti le idee. Una cosa è un
immobile non occupato e un’altra ben diversa è l’immobile
non occupabile.
Qual è la differenza? Il primo avrà tutte le utenze (luce, gas, acqua) e
puoi decidere di riutilizzarlo in qualsiasi momento. Il secondo,
invece, cioè quello non occupabile, è quello che non ha le utenze né le
condizioni per abitarci (non ci sono acqua, luce e gas, non c’è
l’arredamento).
Il contribuente è
esonerato dal pagamento della Tari sono in quest’ultima ipotesi, cioè quando l’immobile non è occupabile perché
hai tolto le utenze
e ti sei portato via i mobili. Hai fatto un trasloco, insomma, e hai
chiuso definitivamente i rubinetti delle forniture. Ma attenzione:
bisogna comunicarlo al Comune, il quale non può occuparsi anche di
verificare se ci sei o non ci sei. La comunicazione dovrà attestare
l’interruzione delle utenze (almeno quella della luce) e la
mancanza di arredi. Non raccontare bugie per cercare di
non pagare la tassa rifiuti: il Comune ha il diritto di verificare se la tua comunicazione risponde alla verità oppure se stai cercando di fare il furbo.
Tari: cosa controllare per pagare il giusto
Quando arriva l’
avviso di pagamento della Tari, per
pagare il giusto bisogna controllare innanzitutto la superficie
riportata. Quella, cioè, sulla base della quale è stato stabilito
l’importo della tassa rifiuti da pagare. Il Comune deve attenersi alla
superficie calpestabile o catastale.
Per quanto riguarda la
superficie calpestabile, è possibile verificarla sulla base della planimetria della casa. Sulla
superficie catastale,
invece, bisogna ricordare che la regola dell’80% tassabile vale solo in
mancanza dell’indicazione sulla superficie calpestabile. Ad ogni modo, è
possibile recuperare quel dato attraverso il sito dell’Agenzia delle
Entrate, nella sezione «consultazione rendite catastali», anche se per
gli immobili di categoria A, cioè le abitazioni, si trova solo il numero
dei vani della casa.
Resta di fatto che se salta all’occhio un errore madornale (ad
esempio vedersi chiedere di pagare la Tari per un appartamento di 140 mq
quando si sa che si vive in uno di circa 90 mq) non conviene pagare.
Piuttosto, si va in Comune e si chiedono dei chiarimenti attraverso un
ricalcolo del tributo in base alla reale superficie da tassare. Ciò allo scopo di pagare il giusto e basta.
Altri
errori che si possono rilevare sull’avviso di pagamento della tassa rifiuti riguardano il
numero degli occupanti dell’immobile e le quote (fissa e variabile) che determinano l’importo della Tari. L’occhio deve cadere in particolare sulla
quota variabile, che deve riguardare soltanto la casa e non le pertinenze che non esistono ma che il Comune può ritenere tali.
Sulle seconde case, invece, c’è da verificare se la tariffa viene calcolata in base al
numero presunto di occupanti dell’immobile e se si può fare riferimento ai membri del nucleo familiare del luogo di residenza.
Tari: cosa fare se ci sono degli errori
Se controllando l’avviso di
pagamento della Tari hai riscontrato degli
errori,
non ti conviene andare a bussare subito in Tribunale. Piuttosto,
conviene andare in Comune a chiedere dei chiarimenti presentando un’
istanza in autotutela.
Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica di
accertamento che arriva dal Comune quando il contribuente non ha
rispettato l’avviso di pagamento (anche se la procedura di accertamento
può cambiare a seconda del Comune). L’istanza in autotutela non esclude
la successiva presentazione del
ricorso alla Commissione tributaria.
La
richiesta di ricalcolo va effettuata quando
l’errore rilevato riguarda, appunto, il calcolo dell’importo (ad
esempio, la quota fissa o variabile sbagliata). Ma se quello riscontrato
è un errore generato da un’interpretazione non giusta della legge (si
tratterebbe di un errore di diritto), le soluzioni sono:
- impugnare l’avviso di pagamento;
- non pagare e attendere l’avviso di accertamento per impugnarlo entro e non oltre 60 giorni dalla notifica.
Cosa
controllare sull’avviso di pagamento, quali possono essere gli errori e
cosa fare se l’importo della tassa rifiuti è sbagliato.
Quel che è dovuto è dovuto. Ma quel che si può evitare, perché
pagarlo? Oltretutto, visto che già di tasse ne versiamo fin troppe, non è
il caso di regalare al Comune dei soldi per una
Tari con l’importo sbagliato.
Come pagare il giusto di
tassa sui rifiuti?
Sapendo quando spetta versarla, quando c’è l’esonero, come viene
calcolata e che cosa fare nel caso in cui ci arrivi il conto errato.
I parametri fondamentali per sapere
quanto si deve pagare di Tari sono
due: la superficie ed il numero di persone che vivono in quella casa.
Quindi conta quanto è grande l’immobile ma anche la composizione del
nucleo familiare. Questo per rispettare un vecchio principio (voluto
anche dall’Europa) secondo cui chi produce più rifiuti deve pagare di
più. Forse chi ha avuto questa intuizione ha dimenticato di inserirci la
parola «potenzialmente». Non è dimostrabile, infatti, che tre persone
con un certo comportamento abbiano il secchio della spazzatura più pieno
rispetto a chi vive da solo ed ha un altro tipo di atteggiamento. Il
single che, ad esempio, è abituato a comprare del cibo confezionato
produrrà più rifiuti di carta e di plastica rispetto alla famiglia che
compra la carne dal macellaio, il pesce dal pescivendolo e la frutta e
la verdura sciolte e si cucina tutto a casa riducendo l’immondizia al
minimo possibile. Non è dimostrabile, dicevamo. Ma è ipotizzabile e,
pertanto, appunto, possibile. Resta da capire come adempiere all’
obbligo di pagare la Tari e come versare quello che è giusto, senza aggiungere «mance» al Comune. Vediamo la procedura ed i parametri giusti per il
calcolo della tassa sui rifiuti.
Tari: l’obbligo di dichiarazione
La legge impone ai cittadini di presentare al Comune una dichiarazione di
inizio occupazione dei locali.
Significa, per quanto riguarda le abitazioni, che bisogna dire in
Municipio che stai vivendo in quell’appartamento. Di norma, la
comunicazione deve essere fatta
entro il 30 giugno
dell’anno successivo a quello in cui si occupano di fatto i locali. Se,
ad esempio, vado a vivere nella mia nuova casa a febbraio 2019, dovrà
presentare in Comune la dichiarazione di inizio occupazione entro il 30
giugno 2020. Attenzione, però: alcuni enti locali hanno disposto delle
date diverse, quindi è sempre meglio informarsi presso il proprio
Municipio.
C’è anche da dire che non sempre questa comunicazione è obbligatoria.
Succede spesso, infatti, che l’inizio occupazione dei locali venga
fatta coincidere «in automatico» con il trasferimento da un Comune ad un
altro e l’
iscrizione all’ufficio anagrafe del
Municipio in cui si va a risiedere. A quel punto, l’anagrafe chiede di
rilasciare all’ufficio tributi del Comune i dati per
pagare le tasse come la
Tari.
Se ci sono dei cambiamenti che riguardano la composizione del nucleo
familiare, non vanno dichiarate all’anagrafe, in quanto il Comune è in
grado di ricavare il dato direttamente da questo ufficio. Ciò che
bisognerà comunicare successivamente, sempre entro il 30 giugno
dell’anno successivo o entro la data fissata dal singolo ente locale,
saranno eventuali
modifiche della superficie dell’immobile (mettiamo il caso di una ristrutturazione in cui «si allarga» la casa con qualche locale in più) e della
destinazione d’uso. La
mancata comunicazione comporta una
sanzione dal 50% al 200% della tassa sui rifiuti non versata.
Ovviamente, il cittadino è tenuto a far sapere al Comune
dell’eventuale abbandono dell’immobile: solo così potrà evitare di
pagare la Tari per una casa in cui non abita più.
Tari: se non occupo una casa devo pagare?
Immagina di avere una
seconda casa e di decidere di
trasferirti per un periodo di tempo, magari per motivi di lavoro o
perché hai un’attività di telelavoro e hai voglia di cambiare aria,
tanto ti basta una connessione ad Internet e puoi svolgerla dove ti
pare. L’abitazione che occupi normalmente resta, dunque, vuota per un
tot di mesi.
Devi pagare la Tari?
Intanto devi stare attento a non confonderti le idee. Una cosa è un
immobile non occupato e un’altra ben diversa è l’immobile
non occupabile.
Qual è la differenza? Il primo avrà tutte le utenze (luce, gas, acqua) e
puoi decidere di riutilizzarlo in qualsiasi momento. Il secondo,
invece, cioè quello non occupabile, è quello che non ha le utenze né le
condizioni per abitarci (non ci sono acqua, luce e gas, non c’è
l’arredamento).
Il contribuente è
esonerato dal pagamento della Tari sono in quest’ultima ipotesi, cioè quando l’immobile non è occupabile perché
hai tolto le utenze
e ti sei portato via i mobili. Hai fatto un trasloco, insomma, e hai
chiuso definitivamente i rubinetti delle forniture. Ma attenzione:
bisogna comunicarlo al Comune, il quale non può occuparsi anche di
verificare se ci sei o non ci sei. La comunicazione dovrà attestare
l’interruzione delle utenze (almeno quella della luce) e la
mancanza di arredi. Non raccontare bugie per cercare di
non pagare la tassa rifiuti: il Comune ha il diritto di verificare se la tua comunicazione risponde alla verità oppure se stai cercando di fare il furbo.
Tari: cosa controllare per pagare il giusto
Quando arriva l’
avviso di pagamento della Tari, per
pagare il giusto bisogna controllare innanzitutto la superficie
riportata. Quella, cioè, sulla base della quale è stato stabilito
l’importo della tassa rifiuti da pagare. Il Comune deve attenersi alla
superficie calpestabile o catastale.
Per quanto riguarda la
superficie calpestabile, è possibile verificarla sulla base della planimetria della casa. Sulla
superficie catastale,
invece, bisogna ricordare che la regola dell’80% tassabile vale solo in
mancanza dell’indicazione sulla superficie calpestabile. Ad ogni modo, è
possibile recuperare quel dato attraverso il sito dell’Agenzia delle
Entrate, nella sezione «consultazione rendite catastali», anche se per
gli immobili di categoria A, cioè le abitazioni, si trova solo il numero
dei vani della casa.
Resta di fatto che se salta all’occhio un errore madornale (ad
esempio vedersi chiedere di pagare la Tari per un appartamento di 140 mq
quando si sa che si vive in uno di circa 90 mq) non conviene pagare.
Piuttosto, si va in Comune e si chiedono dei chiarimenti attraverso un
ricalcolo del tributo in base alla reale superficie da tassare. Ciò allo scopo di pagare il giusto e basta.
Altri
errori che si possono rilevare sull’avviso di pagamento della tassa rifiuti riguardano il
numero degli occupanti dell’immobile e le quote (fissa e variabile) che determinano l’importo della Tari. L’occhio deve cadere in particolare sulla
quota variabile, che deve riguardare soltanto la casa e non le pertinenze che non esistono ma che il Comune può ritenere tali.
Sulle seconde case, invece, c’è da verificare se la tariffa viene calcolata in base al
numero presunto di occupanti dell’immobile e se si può fare riferimento ai membri del nucleo familiare del luogo di residenza.
Tari: cosa fare se ci sono degli errori
Se controllando l’avviso di
pagamento della Tari hai riscontrato degli
errori,
non ti conviene andare a bussare subito in Tribunale. Piuttosto,
conviene andare in Comune a chiedere dei chiarimenti presentando un’
istanza in autotutela.
Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica di
accertamento che arriva dal Comune quando il contribuente non ha
rispettato l’avviso di pagamento (anche se la procedura di accertamento
può cambiare a seconda del Comune). L’istanza in autotutela non esclude
la successiva presentazione del
ricorso alla Commissione tributaria.
La
richiesta di ricalcolo va effettuata quando
l’errore rilevato riguarda, appunto, il calcolo dell’importo (ad
esempio, la quota fissa o variabile sbagliata). Ma se quello riscontrato
è un errore generato da un’interpretazione non giusta della legge (si
tratterebbe di un errore di diritto), le soluzioni sono:
- impugnare l’avviso di pagamento;
- non pagare e attendere l’avviso di accertamento per impugnarlo entro e non oltre 60 giorni dalla notifica.
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