Perdere
il lavoro significa ritrovarsi, da un momento all’altro, senza
quell’attività che consente ad ogni individuo di procurarsi i mezzi
necessari a vivere e a garantire un’esistenza dignitosa alla propria
famiglia. Per questo è previsto un aiuto economico per chi perde il
lavoro.
Uno
dei compiti principali di uno Stato sociale è quello di offrire un
sostegno alle persone nei momenti più difficili della loro esistenza.
Nella nostra società il lavoro è l’attività umana attraverso la quale un
individuo si guadagna i mezzi necessari per vivere e cerca di offrire
alla propria famiglia una vita dignitosa. Nonostante la legge cerchi di
dissuadere le aziende dai licenziamenti facili è comunque un dato di
fatto che il lavoro lo si può perdere. Non c’è dubbio che la perdita del
lavoro costituisca uno dei possibili accadimenti, nella vita di una
persona, più difficili. Lo Stato, esercitando propriamente la sua
funzione sociale, in questi casi sostiene il lavoratore che perde
l’occupazione garantendogli, per il tramite dell’Inps, una somma di
denaro mensile finché non troverà una nuova occupazione. Si tratta di
quella che una volta si chiamava disoccupazione e che oggi si chiama
Naspi, nuova assicurazione per l’impiego. Per ottenere la Naspi occorre
presentare la
domanda di disoccupazione. Vediamo a chi spetta, quanto spetta e come si chiede.
In quali casi si ha diritto alla Naspi?
La
disoccupazione (oggi Naspi) viene
erogata ai lavoratori dipendenti che abbiano perso involontariamente il
lavoro. Tale emolumento non viene riconosciuto, dunque, a quei
dipendenti che si siano volontariamente dimessi dal posto di lavoro. Ci
sono, comunque, dei casi in cui le dimissioni volontarie sono in realtà
quasi obbligate dall’azienda. In queste ipotesi si parla di
dimissioni per giusta causa e il dipendente avrà comunque diritto alla Naspi.
Le dimissioni del dipendente possono considerarsi per
giusta causa
quando è l’azienda che, compiendo atti gravissimi che rendono di fatto
impossibile per il dipendente continuare a lavorare, lo costringe a
rassegnare le dimissioni.
Tra i vari esempi, si possono considerare per giusta causa le dimissioni provocate:
- dalla mancata corresponsione dello stipendio;
- dall’essere stati vittime di molestie sessuali sul posto di lavoro;
- dal demansionamento, ossia dall’adibizione illegittima del dipendente a mansioni inferiori;
- dal ripetersi di comportamenti nel luogo di lavoro che tendono ad
isolare il dipendente, a farlo sentire inutile e a vessarlo (cosiddetto
mobbing);
- da variazioni significative delle condizioni di lavoro determinate
dal fatto che l’azienda o il ramo d’azienda è stato oggetto di cessione [1];
- dal trasferimento del dipendente privo di ragioni tecniche, organizzative e produttive [2];
- dall’essere destinatario di comportamenti ingiuriosi da parte del datore di lavoro o del superiore [3].
La regola generale, fatta eccezione per le ipotesi appena
esaminate di dimissioni per giusta causa, è che per prendere la
disoccupazione il lavoro deve essere perduto in maniera involontaria e
cioè nei seguenti casi:
- licenziamento del dipendente da parte, compresa l’ipotesi del licenziamento per giusta causa;
- cessazione del contratto di apprendistato senza che venga trasformato in contratto a tempo indeterminato;
- cessazione del contratto a tempo determinato per lo spirare del termine, senza che venga rinnovato.
Come detto, i dipendenti dimissionari non possono prendere la
disoccupazione. A questa regola fa eccezione la lavoratrice in
gravidanza, la quale può prendere la disoccupazione se si dimette nel
lasso temporale intercorrente tra il 1° giorno nel quale è venuta a
conoscenza dello stato di gravidanza e il compimento di 1 anno di età da
parte del figlio.
Non potrà prendere la disoccupazione nemmeno il dipendente il cui rapporto di lavoro sia cessato per
risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro. Questa modalità di cessazione del rapporto si ha
quando il dipendente e l’azienda si accordano consensualmente per
terminare il rapporto di lavoro.
Anche in questo caso la regola prevede delle eccezioni, ossia due
casi nei quali il lavoratore può prendere la disoccupazione nonostante
il rapporto sia cessato per effetto della
risoluzione consensuale:
- risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
nell’ambito della procedura presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro
prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Quando un’azienda con più di quindici dipendenti vuole licenziare un
dipendente per motivi economici deve, preliminarmente, informare di
questa intenzione la sede locale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
il quale promuoverà un incontro tra azienda e dipendente per risolvere
bonariamente la vicenda. Se, in questo incontro, le parti si accordano
per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il lavoratore, in
via eccezionale, potrà prendere la disoccupazione;
- risoluzione consensuale determinata dal rifiuto del lavoratore al trasferimento in una sede aziendale
che dista più di 50 km dalla sede originaria e/o sia raggiungibile in
circa 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblici dalla propria
residenza.
Disoccupazione: il requisito contributivo
La
perdita involontaria del lavoro non è l’unico
requisito necessario per poter prendere la disoccupazione. Il
lavoratore, infatti, ha la necessità di soddisfare altri due requisiti:
- aver maturato un periodo minimo di 13 settimane contributive nei
quattro anni precedenti al periodo di disoccupazione, vale a dire,
devono risultare versati per quel dipendente almeno 13 settimane di
contributi nei 4 anni precedenti;
- aver lavorato per un numero minimo di 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti al periodo di disoccupazione.
Chi può prendere la disoccupazione?
La disoccupazione può essere richiesta da:
- lavoratori subordinati assunti con contratto a tempo indeterminato;
- apprendisti;
- dipendenti pubblici a tempo determinato;
- personale artistico con rapporto di lavoro dipendente;
- soci-lavoratori delle cooperative con rapporto di lavoro subordinato.
Non possono richiedere la disoccupazione, invece, le seguenti categorie di dipendenti:
- dipendenti pubblici a tempo indeterminato;
- extracomunitari con regolare permesso che lavorano in Italia solo stagionalmente;
- operai agricoli, indipendenti dall’inquadramento contrattuale;
- lavoratori non subordinati ma autonomi o parasubordinati (come i collaboratori coordinati e continuativi);
- lavoratori che hanno raggiunto i requisiti per l’accesso alla pensione [4].
Quanto dura la disoccupazione?
La disoccupazione (oggi
Naspi) può esser percepita per un periodo di tempo massimo di 24 mesi.
La durata del beneficio dipende, essenzialmente, dalla storia
contributiva del dipendente nel quadriennio antecedente la data di
perdita del lavoro. In particolare, al fine di determinare la durata del
trattamento di disoccupazione, occorre assumere come parametro di
riferimento tutti i
contributi previdenziali versati
nei 4 anni precedenti e dividerli per due. In poche parole, la durata
della disoccupazione è pari alla metà delle settimane di contributi
versati.
La durata minima del contributo è di 6 settimane posto che per poter
ottenere la disoccupazione è necessario aver pagato all’Inps almeno 13
settimane di contributi nel quadriennio precedente.
A quanto ammonta la disoccupazione?
Il valore dell’assegno che materialmente il disoccupato andrà mensilmente a percepire dipende da qual è stata la
retribuzione del dipendente
nel quadriennio precedente. In particolare, se la retribuzione media
dei 4 anni prima della perdita del lavoro è pari o inferiore ai 1.195
euro, l’assegno di disoccupazione è calcolato in misura pari al 75%
della retribuzione stessa. Se invece è maggiore di 1.195 euro, verrà
aggiunto un importo pari al 25% del differenziale tra la retribuzione
mensile e il predetto importo.
E’ comunque importante sapere che l’assegno non può superare mai il
tetto massimo
mensile di 1.300 euro; tale importo massimo non è fisso ma viene
notificato annualmente in base all’aumento dei prezzi (calcolato
dall’Istat).
Quando fare domanda di disoccupazione?
La
domanda di disoccupazione va inoltrata all’Inps solo in via telematica entro il termine di decadenza di 68 giorni, che decorrono:
- dalla data di cessazione dell’ultimo rapporto
di lavoro. Il termine è sospeso per tutta la durata della
maternità qualora si verifichi entro i 68 giorni dal licenziamento e
riprende a decorrere per la parte residua al termine del periodo di
maternità. Il termine è sospeso per tutta la durata di una malattia o di
un infortunio sul lavoro e/o malattia professionale qualora si
verifichi entro i 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;
- dalla fine del periodo di maternità indennizzato qualora la maternità sia insorta nel corso del rapporto di lavoro poi cessato;
- dalla fine del periodo di malattia indennizzato o di infortunio e/o malattia professionale, qualora siano insorti nel corso del rapporto di lavoro poi cessato;
- dalla data in cui si è definita la vertenza sindacale o dalla data in cui è stata notificata la sentenza giudiziaria;
- dalla fine del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso;
- dal trentottesimo giorno dopo la data di cessazione, in caso di licenziamento per giusta causa.
Come si fa domanda di disoccupazione?
La domanda di disoccupazione va presentata direttamente online sul
sito Inps compilando telematicamente i campi che vengono richiesti. Il
cittadino può dunque inoltrarla autonomamente.
Per coloro che non sono in grado di provvedere in autonomia, la domanda di disoccupazione può essere fatta tramite:
- il Contact center dell’Inps digitando il numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile;
- enti di patronato e intermediari dell’Inps, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.
note
[1] Corte di Giustizia dell’Unione Europea sent. del 24.01.2002.
[2] Cass. sent. n. 1074/1999.
[3] Cass. sent. n.5977/1985.
[4] L. n. 92/2012.
fonte: https://www.laleggepertutti.it/251273_domanda-di-disoccupazione-come-e-quando-si-presenta