Chi paga i debiti condominiali?
La
ripartizione delle spese condominiali in caso di vendica, acquisto
all’asta, conguagli, spese ordinarie e straordinarie; chi copre i buchi
del bilancio lasciati dai morosi?
Nel tuo palazzo si ripresenta spesso il problema dei morosi. Così,
con periodicità quasi sistematica, l’amministratore vi riunisce in
assemblea per rappresentarvi la disastrata condizione delle casse del
condomino, perennemente in rosso a causa dei soliti morosi. In passato,
per non subire il riscatto delle utenze e l’interruzione dei servizi da
parte dei fornitori, vi siete “autotassati”, istituendo una sorta di
fondo per coprire il deficit. Ora però c’è chi è stanco di questa
situazione e non intende più rimetterci di tasca propria per colpa degli
altri. Resta però il problema di dover pagare i creditori per non
subire il pignoramento e, magari, il distacco della luce dalle scale o
dall’ascensore. Insomma, il gatto si morde la corda. Normale chiedersi,
in una situazione come questa,
chi paga i debiti di condominio?
Se anche esistono assicurazioni che coprono gli edifici dal rischio dei
morosi, non è il vostro caso e ora dovete correre al più presto ai
ripari. Vediamo dunque cosa prevede la legge a riguardo.
Come si dividono le spese di condominio?
Ogni condomino deve pagare le quote per le spese riguardanti la
gestione del condominio quali le spese per la conservazione delle parti
comuni ed i servizi (ad esempio il compenso all’amministratore, la luce
nelle scale, il giardiniere, la ditta di pulizia delle scale, quella per
la manutenzione dell’ascensore, ecc.). Regola vuole che la ripartizione
delle spese avvenga secondo le cosiddette
tabelle millesimali.
In particolare, a ciascun appartamento viene attribuito un valore sulla
base di una serie di parametri (altezza, esposizione, dimensione, ecc.)
e, in proporzione ad esso, gli si attribuisce una sorta di punteggio. La
somma dei punti di tutti gli appartamenti del condominio deve dare,
come risultato, mille. Per ciò si parla di millesimi. Dunque ogni
condomino paga le spese di condominio in proporzione a quelli che sono i
millesimi del proprio appartamento rispetto a quelli complessivi
dell’edificio
[1].
La vendita dell’appartamento: chi paga i debiti condominiali?
Ci sono però dei casi particolari che lasciano qualche dubbio in merito a
chi deve pagare i debiti condominiali.
Ricorrente
è l’ipotesi di chi vende casa e lascia dei debiti con il condominio. In
questo caso il nuovo acquirente è responsabile con il vecchio condomino
per i debiti da questi lasciati nell’anno di acquisto e in quello
precedente. In realtà, non è proprio così: il termine da considerare non
è il rogito ma il momento in cui il rogito (o una equivalente
attestazione del notaio) viene inviata all’amministratore di condominio
affinché aggiorni l’
anagrafe condominiale. Questo momento funge da spartitraffico:
- i debiti sorti dopo questa data ricadono sul nuovo proprietario,
- quelli sorti nello stesso anno e nell’anno anteriore ricadono sia
sul venditore che sull’acquirente: si tratta di una responsabilità
solidale. L’amministratore potrà presentare il decreto ingiuntivo al
nuovo condomino che però si rivarrà sul vecchio;
- i debiti sorti ancora prima restano a carico del precedente condomino.
Abbiamo analizzato il caso delle
spese condominiali ordinarie;
ma cosa succede invece per quelle
straordinarie?
Capita infatti che il condominio abbia bisogno di una ristrutturazione,
a volte importante e costosa, della facciata. Queste spese vengono
prima deliberate dall’assemblea, poi si procedere a una gara di appalto e
poi si autorizza l’amministratore a firmare il contratto con la ditta
esecutrice; solo alla fine fine approvato il prospetto di spesa totale
ed il riparto delle singole quote secondo le tabelle millesimali. Può
succedere che durante queste operazioni vi sia una
compravendita.
In tali casi, se le spese straordinarie sono state deliberate
dall’assemblea prima della vendita, potranno essere richieste
esclusivamente al venditore e non anche all’acquirente. È però
importante in questo caso verificare che tipo di deliberazioni sono
state adottate prima della compravendita e cioè se queste abbiano deciso
non solo la categoria dei lavori e dunque ad esempio ristrutturazione
della facciata e dei lastrici solari, ma anche il costo degli stessi e
la relativa ripartizione tra i condomini. Se infatti prima della vendita
è stato deliberato solo di ristrutturare la facciata ma non sono stati
decisi né i lavori da fare, né l’importo della spesa complessiva né la
ripartizione, l’obbligo al pagamento spetta al nuovo proprietario anche
se non ha partecipato alla prima delibera con cui si decideva di
svolgere i lavori. Il motivo è che è obbligato al pagamento delle spese
condominiali il condomino che ha potuto partecipare alla decisione sulla
spesa
[2].
L’acquisto della casa all’asta: chi paga i debiti condominiali?
Un’altra questione che si può porre nella vita condominiale e che potrebbe lasciare incerti su
chi paga i debiti di condominio è legata al soggetto che deve pagare le spese condominiali di un
immobile acquistato all’asta giudiziaria.
Può succedere infatti che un condomino subisca un pignoramento e che,
quindi, si proceda alla vendita forzata della casa. Se il ricavato
dall’asta non è sufficiente a coprire tutte le spese condominiali,
l’amministratore potrà chiedere sia al vecchio proprietario che al nuovo
proprietario che ha acquistato all’asta, di pagare i debiti
condominiali del precedente condomino. Potrà però richiedere solo le
quote ordinarie quali
ad esempio quelle riferite alle utenze, all’amministrazione,
all’assicurazione fabbricato, alle pulizie, di competenza all’esercizio
finanziario del subentro e quello precedente. Dunque se Mario acquista
la casa all’asta a marzo 2017, potranno essere richieste a lui le quote
ordinarie riferite all’anno di acquisto ed a quelle del 2016, sempreché
l’esercizio finanziario del condominio, previsto dal regolamento, sia
quello che va dal primo gennaio al trentuno dicembre.
La vendita all’asta che avviene formalmente con il “decreto di
trasferimento” – atto del tribunale che attesta l’avvenuto versamento
dell’intera somma stabilita durante l’asta giudiziaria – ha gli stessi
effetti di una normale vendita ed ecco perché la legge è identica a
quest’ultimo caso
[3] da noi analizzato nel paragrafo precedente.
Nel caso in cui invece le quote condominiali ordinarie si riferiscono
ad anni precedenti al periodo considerato e dunque nell’esempio fatto
si riferiscono al 2015, l’unico obbligato al pagamento, sarà il
precedente proprietario.
È prevedibile che in quest’ultima ipotesi sarà difficile ottenere le
somme, in quanto chi subisce una vendita forzata della casa è
presumibilmente in difficoltà finanziaria. Né tantomeno i debiti
condominiali possono essere soddisfatti prima degli altri creditori,
salvo il caso in cui il
condomino sia stato dichiarato fallito
(si pensi ad un immobile appartenete ad una società dichiarata fallita);
in quest’ultima ipotesi infatti le spese condominiali relative al
periodo successivo alla dichiarazione di fallimento e fino alla vendita
della casa anche qui all’asta, saranno liquidate dal Tribunale, prima di
tutte le altre.
Anche per le spese condominiali straordinarie si applica la disciplina della compravendita che abbiamo analizzato sopra.
I conguagli di spese condominiali vecchie
Altro caso spinoso si presenta quando l’amministratore, per propria inerzia o per inerzia dell’assemblea, richiede
quote condominiali molto vecchie,
riferite cioè a spese riguardanti molti anni addietro. La richiesta di
spese condominiali non può essere avanzata per debiti più vecchi di
5 anni perché, dopo tale termine, cadono in prescrizione.
La riforma del condomino
[4] ha stabilito un termine in cui l’amministratore è obbligato a richiedere le quote e cioè
180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.
Ciò dovrebbe mettere al riparo i condomini dal rischio che passi troppo
tempo prima che l’amministratore richieda le somme ai morosi. È
importante a questo punto chiarire da quando parte il calcolo del tempo
ed in particolare ci si chiede se questo debba partire da quando la
spesa è stata sostenuta o comunque dal momento in cui il servizio è
stato svolto o dal momento in cui la spesa viene approvata
dall’assemblea. È quest’ultima la soluzione più corretta: dunque il
calcolo del tempo massimo oltre il quale non si possono più chiedere
somme al moroso parte dall’anno di competenza della spesa richiesta. Se
la somma si riferisce ad esempio a spese di pulizia del mese di gennaio
2017 e la fattura è stata emessa il trenta dicembre dello stesso anno,
al condomino si potrà chiedere tale spesa fino al ventinove dicembre
2022; oltre tale termine il debito del condomino sarà prescritto e
dunque non più richiedibile.
Mancata approvazione del rendiconto
Cosa succede invece qualora il condominio non riesce ad approvare il
rendiconto annuale? L’amministratore può richiedere ugualmente le somme
ai condominii morosi? E’ un caso frequente quello per cui un condominio
non riesca a deliberare l’approvazione di un rendiconto annuale ed il
relativo piano di riparto tra i singoli condomini. Questo può avvenire
perché il rendiconto è contestato nella sua redazione, per i criteri di
ripartizione adottati o per le spese sostenute. Può però anche capitare
che non sia approvato per mancanza di
quorum costitutivo e dunque non vi sia una presenza sufficiente di condomini per costituire l’assemblea o ancora perché manca il
quorum
deliberativo e dunque non vi è la maggioranza prevista dalla legge per
l’approvazione del rendiconto in prima o seconda convocazione
[5].
Ebbene,
in tal caso il problema non si pone: difatti manca il presupposto per
la richiesta al giudice dell’ordine di pagamento nei confronti del
moroso (il cosiddetto decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo).
Difatti la legge
[6] prevede che «per la riscossione dei
contributi in base allo stato di ripartizione approvato in assemblea,
l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questo, può
ottenere un decreto d’ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante
l’opposizione».
Eppure a fronte di una mancanza di un rendiconto approvato, vi è
comunque la necessità di far fronte alle spese anche solo ordinarie ad
esempio per utenze condominiali che se non pagate potrebbero essere
sospese. Si potrebbe allora chiedere l’
approvazione forzata del bilancio
attraverso un ricorso al Tribunale; ma questa possibilità è preclusa
all’amministratore che dunque, in assenza di condomini (anche uno) che
si faccia carico di presentare ricorso al Tribunale, rimane bloccato.
La giurisprudenza ha posto rimedio a questa lacuna del legislatore
affermando che in caso di mancata approvazione del rendiconto,
l’amministratore può in ogni caso richiedere un decreto ingiuntivo nei
confronti del condomino moroso anche se non provvisoriamente esecutivo,
sulla base dell’ultimo bilancio approvato. L’intento è quello di
garantire la continuità della gestione quantomeno nell’assolvere a
quegli obblighi verso i fornitori dei servizi abituali e necessari per
la sopravvivenza del condominio.
Il problema del pignoramento del condominio
Torniamo ora al problema su chi ricade la copertura dei debiti
lasciati dai morosi. La legge consente al creditore di pignorare
innanzitutto il conto corrente del condominio. In secondo luogo, se
nulla trova, può rivalersi contro i singoli condomini. A tal fine è
tenuto a chiedere all’amministratore di condominio la lista dei
condomini non in regola con i pagamenti relativi alla fattura per la
quale il creditore agisce. Ottenuto tale elenco, egli deve procedere
prima a pignorare i beni di questi e poi, se non trova nulla su cui
rivalersi, dovrà agire contro tutti gli altri condomini, quelli cioè in
regola coi pagamenti. Nei confronti di questi deve comunque agire
secondo millesimi.
Tanto per fare un esempio, se il creditore ha un debito di 100 euro ed
esistono tre condomini ciascuno con 333,33 millesimi, potrà chiedere al
massimo 333 euro a testa verso di questi. Per recuperare tutto il
proprio credito l’amministratore dovrà quindi esperire tanti
pignoramenti per quanti sono i condomini.
L’approvazione di un fondo di copertura dei debiti dei morosi
Un’ultima importante precisazione: se l’assemblea decide di coprire i
buchi lasciati dai morosi chiedendo un’anticipo, agli altri condomini,
delle relative quote lo può ben fare. Ma non può chiedere a questi di
pagare per conto dei morosi, a meno che non ci sia l’unanimità. Dunque,
basterebbe anche il “no” di un solo condomino per escludere un’ipotesi
di questo tipo.
note
[1] Art. 1123 cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 10235/2013.
[3] Art. 63 dips. att. cod. civ.
[4] Legge n. 220 del 2012.
[5] Art. 1136 cod. civ.
[6] Art. 63 disp. att. cod. civ.