lunedì 22 maggio 2017

Come avere la disoccupazione se non si vuole più lavorare

https://www.laleggepertutti.it/162017_come-avere-la-disoccupazione-se-non-si-vuole-piu-lavorare


Come avere la disoccupazione se non si vuole più lavorare
L’indennità di disoccupazione viene concessa a chi viene licenziato o si dimette per giusta causa. Nel primo caso rientrano anche le ipotesi di licenziamento per giusta causa.
Vuoi dire addio al lavoro ma, non nello stesso tempo, non ti va di rinunciare all’indennità di disoccupazione? Immaginiamo che tu abbia fatto presente all’azienda ove sei assunto di voler andartene, ma nello stesso tempo hai la necessità di una copertura economica, almeno fino a quando non troverai un’altra occupazione; vorresti che a licenziarti fosse il datore di lavoro perché, così, prenderai la disoccupazione;  tuttavia quest’ultimo non ne vuol sapere di inviarti la lettera perché teme che tu gli possa fare causa. Che fare? Sai bene che solo a chi viene licenziato o si dimette «per giusta causa» viene riconosciuta la disoccupazione, mentre viene negata a chi si dimette. E allora come avere la disoccupazione se non si vuole più lavorare? A spiegarlo è la stessa pubblica amministrazione: basta non presentarsi al lavoro per qualche giorno senza fornire il certificato medico, oppure macchiarsi di una grave insubordinazione nei confronti del datore di lavoro. In altre parole, basta farsi licenziare per giusta causa. E questo perché, è vero che si ha diritto all’indennità di disoccupazione tutte le volte in cui si viene licenziati, ma – secondo l’orientamento sposato ormai da tempo dall’Inps [1] – in tali casi vi rientrano anche quelli del licenziamento dettato da motivi disciplinari, anche se gravi. Così, in tutte le ipotesi in cui il licenziamento avviene per giusta causa ossia per colpa del dipendente, quest’ultimo ha diritto a percepire la Naspi: in altre parole è autorizzato a farsi mantenere dalla collettività.
Possibile? Assolutamente sì. E anche lecito. Beninteso: questo articolo non è un invito a violare la legge e tantomeno i rapporti aziendali di lavoro (mai tanto “sacri” come in questo periodo), ma vuol essere una semplice provocazione dettata dall’osservazione dell’attuale stato della legge e dell’interpretazione che di essa danno le amministrazioni e i giudici: legge che, per molti versi, può apparire contraddittoria e discriminatoria. Secondo la circolare dell’Inps, infatti, chi è in malafede e non va a lavorare – al pari di chi lavora in modo contrario a qualsiasi obbligo di diligenza, anche quello più elementare – ha diritto a ottenere l’indennità di disoccupazione (Leggi Assegno di disoccupazione ai licenziati per giusta causa). Insomma, il lavoratore che si fa licenziare ottiene la Naspi. Ti sembra paradossale? Ti appare assurdo dare una parte delle tasse che tu faticosamente paghi a chi non dà il giusto peso al lavoro, quello stesso lavoro magari che tu stai cercando da anni ed è invece occupato da chi non se ne interessa? Aspetta a sentire cos’altro ha detto la Cassazione! Secondo una sentenza dell’altro ieri [2], non ha diritto all’indennità di disoccupazione chi è costretto a dare le dimissioni per gravi ragioni di malattia (come ad esempio una sopravvenuta inabilità alle mansioni svolte). Secondo la Corte, infatti, le dimissioni per ragioni di salute – per quanto necessitate – restano un atto volontario e, come tale, non inquadrabile tra i casi di dimissione per giusta causa. In altre parole, chi si deve dimettere perché le condizioni fisiche non gli consentono più di svolgere determinate mansioni e l’azienda non ha altro modo per impiegarlo ha meno diritto a ottenere la disoccupazione rispetto a chi, invece, risponde male al capo o non si fa mai trovare alla visita fiscale (sul punto leggi Se mi dimetto per malattia ho diritto alla disoccupazione?).
Vediamo allora come avere la disoccupazione se non si vuole più lavorare, ossia come “guadagnarsi” un «licenziamento per giusta causa», comportamento che – come detto qui sopra – dà diritto, oltre al caso di «dimissioni per giusta causa», a ottenere l’indennità di disoccupazione dall’Inps (Naspi).
Come detto nell’articolo Quando il licenziamento è legittimo, il licenziamento per giusta causa è la forma più grave di licenziamento disciplinare e consegue a una grave violazione della legge (civile o penale), del regolamento aziendale, del contratto di lavoro o del contratto collettivo. Ecco in quali casi scatta il licenziamento per giusta causa e, quindi, si può ottenere l’indennità di disoccupazione:
  • abbandono del posto di lavoro quando dall’abbandono deriva un danno all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti (si pensi alla guardia giurata che lascia la postazione);
  • assenze ingiustificate, ad esempio quando il lavoratore non comunica tempestivamente la malattia o altri impedimenti che lo obbligano ad assentarsi per diversi giorni, arrecando al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo;
  • rifiuto di riprendere il lavoro dopo la malattia o all’esito della visita fiscale che abbia ritenuto il dipendente idoneo a tornare sul posto;
  • concorrenza al datore con attività di lavoro prestata contemporaneamente per altre aziende;
  • falso certificato medico;
  • falsa attestazione di presenza, ad esempio mediante timbratura del badge;
  • insubordinazione al datore di lavoro;
  • dipendente che, in diverse occasioni, si rechi al lavoro nonostante l’adozione nei suoi confronti della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione e che, ripetutamente invitato, si rifiuti di lasciare il posto di lavoro;
  • diffamazione dell’azienda: è il caso del dipendente che diffonda notizie di discredito nei confronti del datore di lavoro o dei prodotti da questi commercializzati;
  • comportamenti violenti: ad esempio rissa coi colleghi o litigio fisico con il capo;
  • molestie sessuali nei confronti dei colleghi di lavoro o dei clienti dell’azienda;
  • furto di beni aziendali;
  • appropriazione di somme di denaro, anche se di modesta entità, da parte del dipendente addetto alla cassa.

note

[1] Inps, circolare n. 163/2000.
[2] Cass. sent. n. 12565/17 del 18.05.2017.
Autore immagine: 123rf com



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