Concessioni pubbliche: come funzionano e come si revocano
fonte; redazione leggioggi.it
La tragedia del crollo del Ponte Morandi ha squarciato il velo di segretezza sulle concessioni pubbliche alle società private e aperto un ampio dibattito sulla questione. Nel caso specifico la tragedia del viadotto ligure spezzatosi e crollato causando 43 vittime, ha spinto il Governo Conte ad inviare ad Autostrade per l’Italia e al Fondo Atlantia, una lettera in cui si comunica l’avvio dell’iter dei revoca della concessione governativa.
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Un decisione che, se portata a termine potrebbe avere un grande impatto, che i Cda autostrade (ultimo quello di venerdì 31 agosto) stanno cercando di valutare.
Alla luce di questa vicenda, cerchiamo di analizzare il tema delle concessioni pubbliche ai privati, sulla scia dell’ormai cronico stato di crisi della finanza pubblica, che rende inevitabile la crescita dell’interesse verso forme contrattuali che prevedono l’intervento di capitali privati.
Analizziamo quindi cosa sono in concreto le concessioni pubbliche e il tema della loro revoca, estrapolando i contenuti approfonditi del manuale “Le concessioni di lavori e di servizi nel codice dei contratti pubblici,” dell’Autore Alberto Costantini (2018 Maggioli Editore).
Concessioni pubbliche: cosa sono
La concessione pubblica è un atto amministrativo con cui la pubblica amministrazione consente a un concessionario l’uso di risorse e/o l’esercizio di attività.Come spiega Alberto Costantini nel sopracitato manuale, “L’art. 3 del nuovo Codice distingue le concessioni nei sottotipi:
- della concessione di lavori;
- della concessione di servizi.
In tema di strade e autostrade, fino a pochi anni fa queste erano gestite da società pubbliche. Ma dagli anni Novanta le cose cambiarono, soprattutto a causa del fortissimo debito pubblico che lo Stato si trovò ad affrontare. Ecco quindi che decise di inaugurare l’epoca delle privatizzazioni. Viene quindi deciso di privatizzare alcune concessionarie, in modo da un lato di fare cassa e dall’altro di sfruttare capitali privati per i nuovi necessari investimenti. La più importante tra le società che furono privatizzate fu proprio la Società Autostrade, quella che ora gestisce la maggior parte della rete autostradale italiana. All’inizio del 2000 fu la famiglia Benetton a prendere il controllo della società, che divenne in seguito Autostrade per l’Italia: azionista Atlantia, controllata sempre dalla famiglia Benetton. La stessa che oggi si trova ad affrontare l’annoso rischio di vedersi revocata la concessione, proprio a seguito delle polemiche e delle accuse scagliategli contro dal Governo Conte a causa della tragedia del crollo del Ponte Morandi di Genova.
Mentre Autostrade sta oggi affrontando il muso duro del Governo, cerchiamo di capire come e perché si può revocare una concessione pubblica.
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Concessioni pubbliche: lo scioglimento del contratto
Come scritto dall’Autore del manuale – Alberto Costantini –“ sul piano terminologico occorre considerare che la rubrica dell’art. 176 individua tre diverse modalità di scioglimento del rapporto di concessione, che identifica come “cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento”, le ultime due corrispondenti a figure tipiche del nostro diritto amministrativo e civile; mentre la “cessazione” più che una categoria giuridica, sembra una formula descrittiva dell’effetto comune prodotto tanto dall’esercizio del poteri di autotutela, che dagli altri strumenti attraverso i quali si determina lo scioglimento del rapporto (27)”.Per inadempimento della società aggiudicatrice
“Le conseguenze dello scioglimento anticipato del rapporto concessorio trovano disciplina nel comma 4 dell’art. 176, secondo il quale “Qualora la concessione sia risolta per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero quest’ultima revochi la concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario:
- a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;
- b) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse;
- c) un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10 per cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero, nel caso in cui l’opera configurazione del contratto di concessione 113 abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico-finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione”.
“La rassegna delle diverse ipotesi di scioglimento anticipato del rapporto offerta dall’art. 176 non si limita allo scioglimento per inadempimento dell’amministrazione concedente e alla revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse (contemplati dall’appena riportato comma 4 dell’art. 176), ma comprende anche:
- lo scioglimento per violazione di legge nella fase di aggiudicazione o comunque in via di autotutela, vuoi per vizi ai quali il concessionario sia estraneo vuoi per vizi che abbia concorso a determinare (lett. a) e b) del comma 1);
- lo scioglimento per superamento dei limiti entro i quali sono consentite varianti al contratto originario (lett. c) del comma 1);
- lo scioglimento per inadempimento del concessionario (comma 7).
Delle cause di scioglimento imputabili al concessionario, trova disciplina espressa, anche se laconica, solo l’ipotesi della risoluzione per inadempimento del concessionario che si risolve nel rinvio all’art. 1453 del codice civile.
Interpretata letteralmente la norma sembrerebbe quindi costringere l’amministrazione concedente entro il rigido e scomodo perimetro dell’azione giudiziale di risoluzione per inadempimento, che approda allo scioglimento del rapporto solo a seguito della sentenza costitutiva di scioglimento, in attesa della quale il rapporto appare destinato a proseguire in una situazione di reciproca sfiducia e di incertezza contrattuale. Il rinvio all’art. 1453 c.c. deve quindi essere inteso come una sorta di sineddoche, valevole per l’intera Sezione I del Capo XIV del codice civile, dedicata alla disciplina della risoluzione per inadempimento, ivi compresa la facoltà di inserire in contratto clausole risolutive espresse (art. 1456 c.c.) o termini essenziali (art. 1457 c.c.), del resto già ampiamente diffusi nella pratica.
D’altronde, che questa sia l’interpretazione corretta è dimostrato, innanzitutto, dal comma 8 dell’art. 176, a mente del quale prima di avviare l’azione di risoluzione l’amministrazione concedente deve darne avviso al concessionario e agli enti finanziatori, i quali ultimi – a condizione che tale facoltà sia stata previamente riconosciuta loro nel bando di gara – possono indicare un operatore economico subentrante in possesso dei necessari requisiti; ed infatti, se l’amministrazione concedente dovesse in ogni caso attendere gli esiti della pronuncia giudiziale costitutiva dello scioglimento del rapporto (secondo lo schema dell’art. 1453 c.c.), non si vede come potrebbe assegnare al soggetto finanziatore un termine stragiudiziale per sostituire il concessionario inadempiente, scaduto senza esito il quale il contratto sembra destinato allo scioglimento, a meno di non attribuire per tale via al soggetto finanziatore il diritto potestativo di deciderne le sorti in attesa della pronuncia del giudice.
A tanto si aggiunga, in una prospettiva più ampia, che sarebbe veramente singolare se quella stessa amministrazione che, attraverso l’annullamento in via di autotutela e la revoca per sopravvenute ragioni di pubblico interesse, dispone di strumenti idonei a determinare lo scioglimento del rapporto in via stragiudiziale ed immeditata, non potesse invece disporre direttamente del rapporto per liberarsi di un concessionario inadempiente. E ciò a maggior ragione ove si consideri che al ricorrere delle altre due ipotesi di scioglimento per fatti riconducibili al concessionario, ossia l’accertamento postumo di cause di esclusione e l’impossibilità di dare corso a varianti per porre rimedio a errori progettuali, il contratto va invece incontro ad un rapido scioglimento, proprio attraverso l’esercizio del poteri di autotutela previsti dal comma 1 dell’art. 176. Pertanto, grazie anche al rinvio generalizzato alla disciplina civilistica operato dall’art. 30, u.c., del codice dei contratti, sembra ragionevole riconoscere alle amministrazioni margini di autonomia negoziale molto più ampi di quelli apparentemente attribuiti loro dall’art. 1453 c.c., dei quali avvalersi per introdurre a buon titolo nei contratti di concessione clausole risolutive espresse e termini essenziali, così da conciliare l’interesse ad una sollecita sostituzione del concessionario inadempiente con quello alla somministrazione senza soluzione continuità di servizi pubblici essenziali”
Staremo a vedere cosa accadrà ad Autostrade per l’Italia.
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