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Con il contratto di sponsorizzazione un soggetto (c.d. sponsee o sponsorizzato) si obbliga a consentire ad un altro soggetto (c.d. sponsor) l'uso della propria immagine pubblica o del proprio nome, per promuovere, dietro corrispettivo, un prodotto o un marchio.
di S.Tarolli
Sponsorizzazioni sportive: non occorre valutare congruità dei costi per spese sotto soglia
Commissione Tributaria Regionale, Bologna, sentenza 02/10/2017 n° 3004
Condizioni generali di contratto
AltalexPedia, voce agg. al 16/06/2016
Master Diritto, giustizia e management dello sport
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L’invalidità del contratto concluso con minaccia
Cassazione Civile, sez. I, sentenza 09/10/2015 n° 20305
La voce è estratta dal volume I contratti sportivi e il sistema di risoluzione delle controversie nello sport, di AA.VV., Altalex Editore, 2017. Leggi l'indice completo del volume
Il contratto di sponsorizzazione, pur
legalmente atipico, presenta dei contenuti minimi essenziali che lo
rendono tendenzialmente uniforme nell’ambito del diritto interno e del
diritto internazionale.
Si è, insomma, creato una sorta di schema tipico, un cliché base che aleggia nelle principali scritture contrattuali.
L’obiettivo attuale è quello di ‘sezionare’
tutte le parti del contratto stesso, cercando principalmente di
analizzarle nelle sue applicazioni concrete.
Come previsto dal codice civile all’art. 1325 – disposizione applicabile tanto ai contratti tipici quanto a quelli dotati di autonomia contrattuale atipica ex art. 1322, comma II, c.c. – i requisiti necessari per la sottoscrizione sono l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma.
L’accordo è, spesso, l’approdo finale
di una lunga trattativa, che può aver portato le parti, in una prima
fase, alla sottoscrizione di una lettera di intenti o di un vero e
proprio contratto preliminare.
La causa, la funzione economico-sociale, è
il fine di natura commerciale insito nel contratto stesso che
presupporrebbe, pur trattandosi solo di un’obbligazione di mezzi e non
di risultato, anche una sorta di ‘ritorno’ economico reciproco.
L’oggetto, in quanto ‘cuore’ del contratto, sarà separatamente analizzato.
La forma è sostanzialmente scritta
anche se non è prevista a pena di nullità. È raro tuttavia, soprattutto
nello sport di alto livello, immaginare un contratto a forma orale, in
quanto – come vedremo nel proseguo – esclusivamente la forma scritta
sarà in grado di dettagliare articolatamente tutte le varie clausole
normalmente inserite in un contratto di sponsorizzazione.
Trattasi di un contratto tendenzialmente bilaterale che viene sottoscritto dal legale rappresentante dello sponsor e dallo sponsee.
Quanto sopra nella maggior parte dei casi.
In realtà vi sono, nella prassi, almeno due
eccezioni ravvisabili in materia di contratti di sponsorizzazione di
atleti di vertice.
La prima riguarda il caso in cui l’atleta abbia
ceduto lo sfruttamento e/o l’utilizzo dei propri diritti di immagine ad
una società di management o ad un professionista di settore (perlopiù
avvocato, commercialista, giornalista pubblicista): sarà, quindi, tale
terzo mandatario a sottoscrivere il contratto con lo sponsor, a
contrarre l’obbligazione, a ottenere il prezzo del sinallagma
contrattuale ed a riversare, infine, allo sponsee il compenso
detratto della propria provvigione. Trattasi di uno schema non
totalmente convincente dal momento che altera il sistema obbligatorio
andando a individuare un contraente che non può assumere in toto
l’obbligazione: sarà sempre l’atleta, e non il terzo mandatario
(società di management, avvocato, commercialista… ecc.), ad effettuare
una prestazione sportiva o a concedere l’utilizzo dei propri diritti di
immagine.
La seconda eccezione si ravvisa in alcuni sport laddove la Federazione si sostituisce allo sponsee
andando a sottoscrivere il contratto con lo sponsor e riversando poi
integralmente all’atleta il compenso. Anche in questo caso –
inquadrabile come un normale contratto di sponsorizzazione – sarà un
soggetto diverso dallo sponsee ad assumere un’obbligazione
tendenzialmente non propria o, quantomeno, a garantire per
un’obbligazione altrui. La motivazione di fondo per cui alcune
Federazioni impongono ai propri tesserati questa prassi contrattuale
deriva dal fatto che, in questo modo, si avrà il controllo
sull’autonomia negoziale dell’atleta, impedendogli, di fatto, che possa
stipulare un contratto individuale in contrasto merceologico con uno
sponsor federale.
Un’ulteriore questione afferente l’analisi dei soggetti stipulanti un contratto di sponsorizzazione riguarda il caso in cui lo sponsee sia minore di età.
A livello legislativo, il codice civile, all’art. 320,
distingue tra gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione per
il fatto che questi ultimi inciderebbero sull’assetto patrimoniale del
minore, mentre i primi riguarderebbero una mera conservazione, od un
eventuale miglioramento, del patrimonio stesso. Gli atti di ordinaria
amministrazione – tranne i contratti con cui si concedono o si
acquisiscono diritti personali di godimento – possono essere compiuti
disgiuntamente da ciascun genitore, o da chi esercita in via esclusiva
la potestà genitoriale, mentre quelli di straordinaria amministrazione
abbisognano dell’autorizzazione del giudice tutelare.
La dottrina si è maggioritariamente
pronunciata, pur non mancando un orientamento minoritario contrario, nel
ritenere che la sottoscrizione di un contratto di sponsorizzazione
riguardante un minore d’età rientri negli atti di ordinaria
amministrazione per cui è sufficiente la rappresentanza legale dei
genitori secondo quanto disposto dall’art. 320, comma I, c.c.[1].
La sezione dedicata alle premesse è presente in
qualsiasi contratto di sponsorizzazione, racchiudendo in sé il
presupposto dell’indefettibilità.
La presenza di un complesso di definizioni,
richiami e riferimenti ad altre normative, ha assunto, nel corso degli
anni, una valenza sempre maggiore.
In prima battuta nelle premesse trovano spazio
le generalità delle parti – con la specificazione del legale
rappresentante nel caso di persona giuridica – nonché la circostanza che
lo sponsee appartenga ad una Federazione ed, eventualmente, ad un Gruppo Sportivo.
A seguire si specificano normalmente le
motivazioni che hanno portato le parti, dopo un periodo di negoziazione,
alla stipula di un accordo.
Il nucleo delle premesse è, però, sicuramente
rappresentato dall’impianto definitorio, ovvero quel lungo elenco di
definizioni – che, in alcuni casi, può concretamente richiamare ad
un’appendice contrattuale – che permette non solo la qualificazione
giuridica del contratto, ma anche di poter lumeggiare con precisione i
concetti giuridici chiave che riguardano la sponsorizzazione. Quasi
sempre vengono definiti i seguenti concetti: sponsor, sponsee,
diritti di immagine, segni distintivi, sfruttamento commerciale,
apparizioni personali, periodo contrattuale, territorio, competizione,
giustificazione legittima, prodotti, prodotti concorrenti.
Sempre viene anche specificato che lo sponsee
è titolare, in via esclusiva, dei diritti di immagine e può,
consequenzialmente, cederne l’utilizzo e/o lo sfruttamento a proprio
piacimento; nel caso in cui, viceversa, fosse una società di management a
sottoscrivere il contratto, dovrebbe essere individuato il richiamo
testuale alla procura con cui lo sponsee ha ceduto alla società il diritto all’utilizzo/sfruttamento dei propri diritti di immagine.
Vi è poi una parte che contiene le c.d.
‘clausole di rinvio ed accettazione’, tramite le quali il soggetto
estraneo all’ordinamento sportivo, lo sponsor, accetta espressamente di
uniformarsi alle normative regolamentari sportive che possono essere
emesse dal CONI, dalla Federazione e dal Gruppo Sportivo di
appartenenza.
Vista la notevole
importanza delle premesse nell’economia di un contratto di
sponsorizzazione, è sempre prevista, come punto 1) del dispositivo
contrattuale, una clausola con cui si stabilisce che le premesse fanno
parte del contratto e si considerano, quindi, integralmente richiamate.
In alcuni casi, si specifica addirittura che solo nelle premesse – con
particolare riferimento all’impianto definitorio – le parti hanno voluto
esprimere il loro intento negoziale.
Esempio di premessa con specificazione della sua centralità
«La
premessa forma parte integrante della pattuizione: ad essa solamente le
parti dichiarano espressamente di voler fare riferimento, ove avesse ad
insorgere una controversia sull’interpretazione e qualificazione della
presente stipulazione. Nella premessa, e solamente in essa, le parti
hanno infatti manifestato il loro intento negoziale.»
Come già visto in sede definitoria, il
contratto di sponsorizzazione è un negozio giuridico a prestazioni
corrispettive con la previsione di un preciso sinallagma.
L’oggetto e le prestazioni principali
costituiscono il cuore del contratto stesso e permettono di distinguerlo
da altri schemi contrattuali affini.
L’obbligazione principale dello sponsee
ha una duplice forma di manifestazione, l’una essenziale, l’altra
meramente eventuale. Qualsiasi contratto prevede, infatti, che lo sponsee acconsenta
all’utilizzo e/o allo sfruttamento commerciale del proprio nome, della
propria immagine e di tutti i propri segni distintivi abbinati al brand
dello sponsor (prestazione di pati). L’obbligazione
eventuale consiste invece in una prestazione sportiva – per es. la
partecipazione di un atleta ad un meeting o ad un match – o
l’apparizione dello stesso ad un evento (inaugurazione, convention,
fiera) di natura commerciale organizzato dallo sponsor e, in alcuni
casi, nell’indossare un certo abbigliamento sportivo (prestazione di facere). Trattasi evidentemente di una mera obbligazione di mezzi.
Come contraltare sinallagmatico lo sponsor,
essendo un contratto a titolo oneroso, dovrà effettuare una prestazione
di carattere economico (prestazione di dare).
Il c.d. ‘prezzo’ del contratto si può distinguere in varie componenti: la fee (il vero e proprio compenso), una serie di bonus
sia legati a risultati sia a prestazioni individuali – il numero di
gol, i miglioramenti cronometrici, di misura e di distanza, ecc. – e,
talvolta, il c.d. ‘minimo garantito’, una sorta di compromesso tra fee e bonus che si caratterizza per il fatto che si garantisce allo sponsee un ‘minimo’ di natura economica, salvo che gli eventuali bonus
saranno pagati solo sull’eccedenza rispetto alla soglia minima
garantita. Spesso, in contratti di durata pluriennale, si può poi
prevedere un incremento della fee modulato sulla scorta dei
risultati sportivi ottenuti nell’anno solare precedente, o, viceversa,
in caso contrario, un abbassamento della fee stessa, il c.d. malus.
Inoltre, lo sponsor effettuerà solitamente
anche una fornitura di prodotti che, nel caso di fornitura tecnica,
porta alla questione dell’obbligo di utilizzo in gara.
Proprio l’obbligo dell’utilizzo del materiale
tecnico oggetto della produzione dell’azienda sponsor – costume da
nuoto, scarpe da gioco, racchetta, mazza da golf, sci, scarponi ecc. –
può portare a facili contrasti tra lo sponsor tecnico individuale
dell’atleta e lo/gli sponsor tecnico/i del club e/o della Federazione di
appartenenza durante le convocazioni nazionali. Il quesito è semplice
quanto alla sua formulazione, ma assolutamente non quanto alla sua
soluzione: può un atleta utilizzare i prodotti forniti dal proprio
sponsor tecnico individuale anche durante le gare e/o gli incontri che
dovrà affrontare con i colori del proprio club e della propria
Nazionale?
Va detto, innanzitutto, che la questione di cui
sopra si pone, nel concreto, con riferimento ai club quasi solo per gli
sport di squadra – non tanto, quindi, con riferimento ai campionati
nazionali degli sport individuali – mentre, quanto alla Nazionale, per
qualsivoglia disciplina sportiva.
Quanto ai club, in assenza di accordi
collettivi di riferimento – anche nel calcio, come visto, la convenzione
AIC-LNP è scaduta – saranno i singoli contratti di prestazione sportiva
a disciplinare la questione.
Le Federazioni
hanno affrontato in modo differente il problema: alcune, come la
F.I.S.I., consentendo l’utilizzo libero dell’attrezzatura-prodotto
tecnico (scarponi-sci), altre, come la F.I.N., consentendo in ultima
analisi anche l’utilizzo di un costume di uno sponsor diverso da quello
federale purché privo di qualsiasi altro marchio o logo (cioè neutro),
altre ancora, come la F.I.P.A.V,. vietando agli atleti convocati in
Nazionale l’utilizzo di una scarpa da gioco diversa rispetto a quella
dell’azienda sponsor della Nazionale (celebre il recentissimo caso di un
noto giocatore azzurro, al quale è stata revocata, nel luglio 2017, la
convocazione per gli Europei in Polonia)[2].
Art. 4 Regolamento Squadre Nazionali FIPAV – 7 aprile 2017
«4.1.
Per tutto il periodo della convocazione in Nazionale (collegiali di
preparazione, manifestazioni Internazionali e Nazionali, incontri
amichevoli, conferenze stampa, interviste, il tutto in Italia e
all’estero) gli Atleti e lo Staff sono sempre tenuti ad indossare ed
utilizzare solo ed esclusivamente le divise/tenute da gioco e da
allenamento, le tenute per il tempo libero, le tenute per le attività di
rappresentanza, le calzature da gioco/allenamento, tempo libero e
rappresentanza, nonché tutti gli accessori di abbigliamento tecnico e
non forniti dalla FIPAV. Tutto il materiale tecnico sportivo fornito
(incluse le calzature) non dovrà essere alterato (coperto, modificato,
sostituito, integrato ecc.) in nessuna maniera, nemmeno in misura
parziale. I loghi degli sponsor tecnici e di eventuali altri sponsor
federali non dovranno essere alterati (coperti, modificati, sostituiti,
integrati ecc.) in nessuna maniera, nemmeno in misura parziale. Allo
stesso modo, è fatto assoluto divieto di utilizzo di abbigliamento e
calzature non approvate, intendendosi come tale anche il materiale degli
Sponsor Tecnici Federali non facente parte della fornitura (salvo ove
diversamente concordato con la Federazione.)»
Il discrimen
tra l’obbligo ed il non obbligo all’utilizzo del prodotto tecnico
durante gli impegni con il proprio club o con la Nazionale dovrebbe, dal
nostro personale punto di vista, trovarsi nella natura stessa del
prodotto tecnico: se di mero abbigliamento dovrebbe essere vincolato
allo sponsor del club e/o della Federazione, se in qualche modo,
viceversa, si tratta di uno strumento di gioco in grado di influire,
anche solo minimamente, sulla prestazione sportiva, dovrebbe essere
lasciato libero.
Il contratto di sponsorizzazione prevederà poi un periodo contrattuale, con un dies a quo – o una data fissa o il giorno stesso della sottoscrizione – ed un dies ad quem,
la vera e propria scadenza. Vi è poi, spesso, la previsione di un
rinnovo tacito, di anno in anno, a meno che una delle due parti non dia
disdetta scritta mediante un mezzo di ricezione a data certa (una PEC o
una raccomandata a/r) entro un determinato tempo dallo spirare del
contratto.
Se l’oggetto contrattuale permette di
distinguere il contratto di sponsorizzazione da altre forme giuridiche
parzialmente affini, è possibile apprezzare interamente il tipo
contrattuale in esame solo dalla sua analisi integrale.
Emerge, quindi, come ‘abbracciate’ all’oggetto
ed alle prestazioni principali si affastellino tutta una serie di
clausole contrattuali. È impossibile addivenire ad un catalogo completo,
sia perché ciò presupporrebbe l’analisi di una miriade di contratti di
sponsorizzazione, sia perché trattasi di una materia in continua
evoluzione. In particolare, con l’introduzione di cliché contrattuali di
sponsorizzazione nascenti dal common law – da cui è nata, come
visto in precedenza, la teoria del c.d. ‘contratto alieno’ – sono
aumentate a dismisura il numero e la tipologia delle clausole
contrattuali.
Qui di seguito, prima di un’analisi approfondita di quelle più ricorrenti, un tentativo, seppur non esaustivo, di raccolta.
Clausole principali da apporre ad un contratto di sponsorizzazione
– clausole di richiamo a normative CONI e/o federali;
– clausole relative al c.d. silenzio olimpico;
– clausole di esclusiva;
– clausole di tolleranza e di non concorrenza;
– clausole di non ingerenza;
– clausole di collaborazione;
– clausole di previa approvazione, da parte dello sponsee, delle campagne marketing e/o promo-pubblicitarie dello sponsor;
– clausole di durata, prelazione, opzione, rinnovo e recesso;
– clausole limitative della responsabilità;
– morality clauses;
– clausole relative alla disciplina della fase successiva a quella della scadenza del contratto;
– clausole risolutive espresse;
– clausole penali;
– clausole di correttezza e di riservatezza;
– clausole di cessione del contratto;
– miscellanea;
– clausole relative alla legge applicabile ed al Foro competente;
– clausola compromissoria.
La c.d. esclusiva è, sicuramente, una delle clausole contrattuali più frequenti e più ricercate dagli sponsor.
Se lo sponsor richiede l’esclusiva a titolo di
‘unicità’ ci si troverà di fronte alla c.d. ‘sponsorizzazione unica’, in
altri casi l’esclusiva si limita allo stesso settore merceologico, c.d.
‘esclusiva merceologica’.
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In sostanza viene chiesto allo sponsee
di non effettuare le prestazioni richieste dallo sponsor nei confronti
di altri brand che siano direttamente o indirettamente concorrenziali: a
tal fine, onde evitare spiacevoli incidenti nella fase esecutiva del
contratto, spesso si appone al contratto un allegato con l’elenco
tassativo di aziende da considerarsi concorrenziali allo sponsor.
Rimane, in tutti i casi, il problema relativo a quelle aziende che in itinere sviluppano nuovi business concorrenziali con l’azienda sponsor; in tali casi, qualora lo sponsee sia legato ad entrambe le aziende si potrà venire a creare una forma di contrasto concorrenziale non originario.
Normalmente l’esclusiva avrà una validità worldwide,
ovvero sarà azionabile in qualsiasi stato del mondo; solo in rari casi
sarà limitata allo stato dove lo sponsor ha rappresentanza legale o dove
lo sponsee ha la residenza.
Soprattutto in casi di contratti particolarmente importanti, lo sponsor chiederà allo sponsee
– eventualmente dietro idonea remunerazione – di rispettare la clausola
di esclusiva anche per un periodo di tempo successivo alla durata
dell’accordo.
Trattandosi di una clausola vessatoria, necessiterà di una doppia sottoscrizione delle parti come richiesto dagli artt. 1341 e 1342, comma II, c.c.
L’opzione prevede, come disciplinato dall’art. 1331 c.c.,
che una delle due parti rimanga vincolata “alla propria dichiarazione e
l’altra abbia la facoltà di accettarla o meno”: trattasi quindi di una
proposta irrevocabile legata ad una o più annualità successive al
contratto. In determinati casi si può prevedere che l’esercizio
dell’opzione porti ad un incremento della fee dello sponsee.
Diversa, e molto più utilizzata nei contratti di sponsorizzazione, è la prelazione.
È davvero difficile, se non decisamente impossibile, che uno sponsor
non richieda, in fase di negoziazione, l’apposizione di una clausola di
prelazione. Nella sostanza, nel caso in cui lo sponsee dovesse
ricevere, in un determinato periodo di tempo antecedente al naturale
spirare del contratto, una proposta da parte di un brand concorrenziale
allo sponsor, lo sponsee acquisisce l’obbligo di trasmettere
tale offerta, in originale o in copia, al proprio sponsor, di modo che,
entro un successivo arco temporale, lo sponsor abbia la possibilità di
‘pareggiare’ tale offerta e quindi prevalere rispetto al brand
concorrenziale. Solo nel caso in cui lo sponsor non pareggi l’offerta,
lo sponsee sarà legittimato a concludere il contratto di sponsorizzazione con il nuovo sponsor.
Negli ultimi anni
si è anche andata sviluppando la c.d. ‘prelazione postuma’, che prevede
l’applicazione di una clausola di prelazione anche per un periodo di
tempo successivo alla naturale vigenza del contratto.
Esempio di una clausola di prelazione
«Le
parti si impegnano, almeno centoventi giorni prima della scadenza del
presente contratto, ad incontrarsi per verificare la possibilità di
addivenire ad un eventuale rinnovo contrattuale. Prima di tale periodo,
l’Atleta non potrà impegnarsi in alcuna discussione o negoziazione con
terzi riguardante tutti, o parte, dei diritti compresi nel presente
contratto.
Nei
sessanta giorni antecedenti alla scadenza del presente contratto, lo
sponsor manterrà il diritto di prelazione nei confronti di eventuali
offerte che dovessero arrivare da parte di sponsor concorrenti. Nello
specifico, nel caso in cui l’Atleta riceva un’offerta da parte di un
nuovo potenziale sponsor, in concorrenza merceologica con lo sponsor,
riguardante tutti o parte dei diritti del presente contratto, questi ha
l’obbligo di presentare allo sponsor l’originale di tale offerta.
Lo
sponsor avrà trenta giorni, a partire dalla data di ricevimento di tale
offerta, per comunicare per iscritto all’Atleta il proprio impegno a
concludere un nuovo contratto con l’Atleta a condizioni uguali di quelle
previste nell’offerta ricevuta.
In tal
caso, l’Atleta avrà l’obbligo di stipulare il nuovo contratto proposto
dallo sponsor secondo i termini e le condizioni sopra riportati.».
Nel caso di cui sopra
vi è anche l’individuazione, prima che scatti la prelazione, di un
‘periodo di negoziazione esclusivo’ – in questo caso dal centoventesimo
al sessantesimo giorno antecedente allo spirare del contratto –
caratterizzato dal fatto che lo sponsee non ha possibilità di condurre trattative con nuovi potenziali sponsor ma solo di rinegoziare un rinnovo con quello attuale.
5.3. Clausole di previa approvazione, da parte dello sponsee, delle campagne marketing dello sponsor
Nella redazione di un contratto di
sponsorizzazione risulta particolarmente importante specificare che
qualsiasi campagna promo-pubblicitaria dello sponsor – compresa anche
quella che utilizzi solo canali social – necessita di un’approvazione
scritta da parte dello sponsee, od eventualmente, da parte del management di riferimento.
È, infatti, vero che il comportamento dello
sponsor deve essere improntato, in linea generale, all’osservanza degli
obblighi di buona fede, correttezza e diligenza secondo quanto disposto
dagli artt. 1175 (“comportamento secondo correttezza”), 1176 (“diligenza nell’adempimento”) e 1375 c.c.
(“esecuzione di buona fede”) – che riguardano, peraltro, qualsiasi
rapporto di natura obbligatoria – ma risulta prudenziale, proprio per la
specificità delle regole dell’ordinamento sportivo, condizionare
l’utilizzo concreto dell’immagine di un atleta ad un suo specifico placet.
Lo sponsor può, infatti, legittimamente non conoscere il Regolamento CIO, quello CONI, la specificità del c.d. silenzio olimpico,
i limiti imposti ad un atleta facente parte di un Gruppo Sportivo, i
Regolamenti e gli Accordi Quadro di natura federale, con la conseguenza
che, nel concreto, possa violare, in buona fede, alcune specifiche
regole appartenenti al mondo del diritto sportivo.
Esempio di clausola di previa approvazione, da parte dello sponsee, delle campagne marketing dello sponsor
«L’Atleta
dovrà essere preventivamente informato ogni qualvolta lo sponsor
intenda acquisire fotografie, video, registrazioni audio o quant’altro
inerisca la propria immagine e, successivamente, dovrà fornire consenso
scritto all’utilizzo delle stesse.
Lo
sponsor si impegna, consequenzialmente, a sottoporre all’approvazione
scritta dell’Atleta – e/o del suo management – qualsivoglia campagna
promo-pubblicitaria, anche di natura social, che comprenda l’utilizzo
dell’immagine dell’Atleta.
L’Atleta,
da parte sua, si impegna a prestare il suddetto consenso scritto, o a
negarlo esclusivamente per seri e documentati motivi, entro dieci giorni
dal ricevimento della proposta di campagna promo-pubblicitaria.».
I Giochi Olimpici, tanto estivi che invernali,
impongono una serie di limitazioni all’utilizzo dell’immagine degli
atleti accreditati da parte dei loro sponsor individuali durante il
periodo del c.d. silenzio olimpico.
Il formante normativo è la Rule 40 dell’Olympic Charter che gli atleti convocati per i Giochi hanno l’onere di recepire ed accettare.
Bye-law to Rule 40, par. 3
«Except
as permitted by the IOC Executive Board, no competitor, team official
or other team personnel who participates in the Olympic Games may allow
his person, name, picture or sports performances to be used for
advertising purposes during the Olympic Games.».
Vengono emanate dai
singoli Comitati Olimpici Nazionali, circa un anno prima dello
svolgimento dei Giochi Olimpici, le norme di recepimento della Rule 40,
vigenti durante il cosiddetto periodo di silenzio olimpico
(detto anche ‘periodo di embargo’), che scatta circa una settimana prima
dell’apertura del villaggio e si conclude qualche giorno dopo la
cerimonia di chiusura.
Di fatto l’atleta, così come qualsiasi altro
soggetto accreditato, deve espressamente fare divieto ai propri sponsor
individuali, durante il periodo di silenzio olimpico, di sfruttare la propria immagine sotto qualsiasi forma, che sia di advertising tradizionale o social[3].
È, quindi, essenziale che, in sede di redazione
di un contratto di sponsorizzazione individuale di un atleta che copra
un arco temporale al cui interno si svolgono anche i Giochi, si preveda
una apposita clausola di ‘congelamento’ dei diritti dello sponsor
scaturenti dal contratto durante il periodo del c.d. silenzio olimpico.
Soprattutto nell’ultimo decennio si è stabilita la prassi, da parte dello sponsor, di proporre allo sponsee,
in sede di negoziazione contrattuale, l’apposizione al contratto di
particolari clausole di precostituzione dell’inadempimento – spesso con
l’inserimento di clausole risolutive espresse e correlative clausole
penali – attinenti alla condotta comportamentale dello sponsee.
Le c.d. morality clauses, di origine nordamericana, sono, quindi, volte ad una drastica riduzione del normale rischio contrattuale.
Da un’analisi accurata, anche comparativa,
emergono clausole di siffatta natura in caso di condanne penali per
delitti non colposi, uso di sostanze stupefacenti, violazioni della
normativa anti-doping, illeciti sportivi e provvedimenti di sospensione o
inibizione, frode sportiva, gravi comportamenti lesivi dell’immagine
dello sponsor.
Negli anni più recenti sono altresì nate clausole volte a sanzionare comportamenti esclusivamente privati dello sponsee, atti a creare scandalo, imbarazzo, scherno e senso del ridicolo.
L’apposizione al contratto di quest’ultima tipologia di morality clauses[4]
va incontro ad una serie di rischi: da un lato quello di sostituire il
concetto di ‘moralità’ a quello di ‘antigiuridicità’, dall’altro quello
di ampliare, a mo’ di fisarmonica, la necessaria determinatezza di un
negozio giuridico, in ultimo, e solo in determinati casi, quello di
porsi in contrasto con alcuni principi cardine della nostra Carta
Costituzionale.
‘Caso di scuola’ è stato rappresentato, nel
recente passato (2015), da una pronuncia del Tribunale di Milano a
definizione di un contenzioso giudiziale tra un noto calciatore
straniero (che ai tempi giocava in Italia) ed un suo sponsor
extra-tecnico. Il tutto prese le mosse da una notizia giornalistica che
riferiva di un presunto festino a luci rosse al quale avrebbe
partecipato il calciatore in compagnia di probabili prostitute
transessuali: in realtà il Tribunale meneghino, nell’ambito di una
ricostruzione storica del fatto, ha poi accertato che si trattava di un
tentativo di estorsione da parte delle prostitute proprio ai danni del
calciatore.
A seguito del presunto scoop, lo sponsor si appellò alla clausola morale prevista ex contractu a titolo di clausola risolutiva espressa, non pagò la restante parte della fee
dovuta e chiese altresì gli arretrati; da qui l’azione del calciatore
volta alla declaratoria di inefficacia della clausola risolutiva
espressa, con richiesta del residuo importo e degli interessi moratori.
Contenuto della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto in questione
L’impegno, da parte del testimonial, era quello di:
par. ii)
“agire per tutta la durata del presente contratto con correttezza e
lealtà e nel rispetto di elevati principi etici, senza causare alcun
danno alla sua immagine e/o reputazione”
Il Tribunale
meneghino, a seguito della richiamata ricostruzione fattuale, ha
dichiarato priva di effetto la comunicazione dello sponsor di avvalersi
della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto e ha,
consequenzialmente, condannato lo stesso sponsor al pagamento del
residuo importo della fee, nonché degli interessi moratori[5].
Al di là dal caso di
specie, ha poi concluso, in via generale, che l’impegno assunto da uno
sportivo a comportarsi con correttezza, lealtà e nel rispetto di elevati
principi etici attiene principalmente al suo ambito professionale.
Nello specifico “… l’aver concluso un contratto di sponsorizzazione non
può comportare, per il testimonial, la rinuncia a scelte di vita che,
pur essendo del tutto legittime, potrebbero provocare un offuscamento
della propria immagine pubblica, come ad esempio nel caso di una
relazione sentimentale non approvata dal pubblico oppure nel caso della
rottura di una relazione coniugale o ancora nel caso di professione di
idee controcorrente o di conversione ad un credo religioso impopolare in
un certo contesto storico e sociale; tali comportamenti non possono
certo considerarsi inadempimenti di obblighi nascenti dal contratto di
sponsorizzazione, in quanto sono espressione del diritto di
autodeterminazione del singolo e l’eventuale assunzione da parte del
‘testimonial’, al momento della conclusione del contratto,
dell’obbligazione di astenersi da condotte di tal genere sarebbe nulla e
priva di effetti, perché in contrasto con i principi generali – sanciti
anche nella Costituzione – in tema di diritti della personalità”.
Tale pronuncia giurisprudenziale ha permesso di circoscrivere l’utilizzo delle morality clauses
affermando, in modo del tutto condivisibile, che la rottura del
sinallagma contrattuale non può basarsi su presunti fatti contrari alla
morale o all’etica in assenza di violazioni, chiare e precise, che
attengano agli obblighi contrattuali – e quindi professionali – dello sponsee. D’altronde lo sponsor contrattualizza, ex ante, lo sponsee per il suo alto appeal di natura commerciale dovuto alle sue performances sportive e non per le sue scelte di vita privata.
In caso contrario rischieremmo di considerare
‘incidenti contrattuali’ fatti che attengono alla vita personale, al
colore della pelle, all’orientamento religioso, al credo politico e
all’inclinazione sessuale, in aperta violazione del principio di
uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma II, Cost.
Nell’ambito di contratti di sponsorizzazione di
club sono poi in voga una nuova serie di clausole che mirano a
‘colpire’ comportamenti di razzismo, o di mancato fair play, della tifoseria della squadra. Anche in questo caso il rischio dell’indeterminatezza giuridico-contrattuale è molto elevato.
La casistica storica ha dimostrato come, in
generale, non sia facile provare l’inadempimento di un contratto di
sponsorizzazione.
Già con le morality clauses (cfr. sub
5.5) si è visto che non è sempre possibile addurre a rottura del
sinallagma contrattuale elementi che si allontanano dalla sfera
professionale e sfociano in quella personale se non si tratta di fatti
oggettivamente apprezzabili.
Quanto alla sfera professionale, viceversa,
sono state individuate come classiche forme di inadempimento il mancato
utilizzo dell’abbigliamento in un contratto di sponsorizzazione tecnica o
il mancato raggiungimento di un numero minimo di apparizioni in un
contratto di testimonial[6].
Soprattutto negli ultimi anni, ed in maggior parte con riferimento ai cliché contrattuali derivanti dai format di common law,
ha poi avuto inizio la prassi, quasi sempre su iniziativa dello
sponsor, di precostituire l’inadempimento a qualsiasi violazione di
qualsiasi obbligazione contrattuale.
Nel concreto, lo sponsor spesso tenta di assoggettare a clausole risolutive espresse (art. 1456 c.c.), ed a consequenziali clausole penali (art. 1382 c.c.), qualsivoglia obbligazione dello sponsee.
Si tratta di una prassi che disarticola il sinallagma contrattuale – innalzando lo sponsor a ‘parte forte’ e riducendo lo sponsee
a ‘parte debole’– ma che snatura altresì le principali caratteristiche
giuridiche dell’inadempimento, e/o dell’inesatto adempimento, nonché
dello stesso istituto della clausola risolutiva espressa, il quale
richiede, per la sua azionabilità, che vi sia la violazione di una “determinata obbligazione”.
È vero, infatti, che il contratto di
sponsorizzazione presenta diverse accezioni, varianti e ‘smagliature’,
in grado di renderlo, di volta in volta, differente ed unico, ma non è
comunque possibile ritenere che qualsiasi violazione del sinallagma
abbia significato preminente e sia in grado di inficiare l’utilità
principale del contratto stesso.
A livello giurisprudenziale il Tribunale di Milano, nell’ambito della già citata sentenza sul caso di morality clauses, è intervenuto con un celebre obiter dictum che ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità sull’abuso di clausole risolutive espresse[7].
Nello specifico ha stabilito che “… per la configurabilità della
clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la
risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di
una o più obbligazioni specificamente determinate, restando estranea
alla norma di cui all’art. 1456 c.c.
la clausola redatta con generico riferimento alla violazione di tutte
le obbligazioni contenute nel contratto, con la conseguenza che, in tale
ultimo caso, l’inadempimento non risolve di diritto il contratto,
sicché di esso deve essere valutata l’importanza in relazione alla
economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l’accertamento
della sola colpa, come previsto, invece, in presenza di una valida
clausola risolutiva espressa.”[8].
In fase di negoziazione di un contratto
occorrerà quindi – analizzando la peculiarità dello sport in questione,
del settore merceologico ed anche della particolare intensione dell’intuitu personae contrattuale – verificare quale obbligazione dello sponsor o dello sponsee
sia così essenziale da poterne precostituire l’inadempimento e quale,
viceversa, dovrà seguire le normali disposizioni giuridiche degli artt. 1453 ss. c.c., che consentono la possibilità di procedere con un contenzioso per inadempimento contrattuale.
Il lavoro di
introduzione, nell’ambito di un contratto di sponsorizzazione, di forme
precostituite di inadempimento – garantite dall’apposizione di clausole
risolutive espresse e clausole penali – sarà, quindi, di natura più
‘sartoriale’ e meno oggettivabile, con la conseguenza che, caso per
caso, dovranno essere valutate l’essenzialità fattuale e la
determinatezza giuridica di quelle obbligazioni che possono essere
considerate, ex ante, importanti e rilevanti nell’economia contrattuale.
Esempio di clausole risolutive espresse
A carico dello sponsee
1. utilizzo di abbigliamento, in gara od in allenamento, diverso rispetto a quello fornito dallo sponsor;
2. copertura o alterazione del logo dello sponsor apposto sul materiale fornito;
3. mancato rispetto dell’esclusiva merceologica;
4. mancata presenza ad uno o più eventi dello sponsor in caso di contratti di apparizione;
5. rilascio di dichiarazioni/interviste che possano essere gravemente lesive nei confronti dello sponsor;
6. ritiro definitivo dalle competizioni;
7. squalifica per doping;
8. condanna per delitti non colposi che superino una determinata pena detentiva.
A carico dello sponsor
1. fallimento o altre procedure concorsuali;
2. mancato pagamento del prezzo contrattuale per almeno due-tre soluzioni;
3. rilascio di dichiarazioni/interviste che possano essere gravemente lesive nei confronti dello sponsee;
4. violazione della clausola di previa approvazione, da parte dello sponsee, delle campagne marketing e promo-pubblicitarie da parte dello sponsor;
5. violazione della clausola sul c.d. silenzio olimpico.
In alcuni casi, una parte cerca di imporre all’altra anche l’apposizione di clausole limitative della responsabilità di cui all’art. 1462 c.c.,
attraverso le quali “si stabilisce che una delle parti non può opporre
eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta…”. Come
in altri tipi contrattuali presenti nell’ordinamento giuridico italiano,
la ratio dell’utilizzo di una siffatta clausola si rinviene
nella volontà di evitare che vengano opposte eccezioni soprattutto al
mancato pagamento del prezzo (che sia fee o bonus) da parte dello sponsor.
La parte conclusiva di un contratto di
sponsorizzazione è caratterizzata da tutta una serie di clausole affini a
molti altri tipi contrattuali.
Verrà stabilita la legge applicabile: quella
italiana, nel caso in cui entrambi i contraenti siano di nazionalità
italiana e, di regola, la legge dello stato in cui ha sede legale lo
sponsor, nel caso in cui lo sponsor sia estero; solo in alcuni, e rari,
casi si applicherà, su comune volontà delle parti, la legge svizzera.
Spesso, ma non sempre, troverà spazio la c.d.
miscellanea, caratterizzata dall’inserimento di tutta una serie di
fattori interpretativo-ermeneutici del contratto stesso. Tra gli
elementi costitutivi più frequenti figurano la specificazione che il
contratto non dà vita a società, associazioni e/o joint venture; che è
stato espressamente negoziato dalle parti; che deve essere oggetto di
riservatezza e confidenzialità bilaterale; che riguarda operazioni
soggette ad IVA; che consta anche di un numero definito di allegati; che
annulla e sostituisce ogni eventuale pregressa pattuizione; che potrà
essere modificato solo per iscritto. Si stabilisce poi il domicilio
delle parti ai fini dell’inoltro di comunicazioni e corrispondenza.
Essenziale poi che, ai sensi del T.U. privacy,
le parti sia diano espressamente il reciproco consenso al trattamento
dei dati personali.
Quanto alla necessità, o meno, della doppia sottoscrizione di alcune particolari clausole di tipo vessatorio, ai sensi dell’art. 1341, comma II, c.c.,
occorre attenersi al tenore normativo. Da un’analisi letterale delle
disposizioni in materia, occorre, infatti, convenire sul fatto che la
doppia sottoscrizione deve essere sempre prevista in caso di apposizione
di clausole limitative della responsabilità, recesso unilaterale,
sospensione dell’esecuzione, decadenze, limitazioni della facoltà di
opporre eccezioni, restrizione della libertà contrattuale, rinnovo
tacito, rinnovazione del contratto, deroghe alla competenza, clausola
compromissoria.
Occorre poi disciplinare la competenza in caso di patologia della vita del contratto stesso.
Se un tempo si preferiva stabilire un Foro
esclusivo – che, spesso, coincideva con quello in cui aveva sede legale
lo sponsor – negli ultimi anni si ritiene più opportuno deferire
l’eventuale controversia ad un arbitrato, mediante l’apposizione di una
clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.).
Si ritiene perlopiù che in ambito sportivo sia
preferibile rifiutare il contenzioso giudiziario a favore di un metodo
alternativo di risoluzione delle controversie, di origine molto antica e
di sempre maggiore attuazione. Nel diritto sportivo italiano si
instaurano perlopiù procedimenti arbitrali di natura ‘rituale’ – ovvero
con il lodo avente la stessa efficacia di una pronuncia giudiziaria (art. 824 bis c.p.c.) – e giudicanti ‘secondo diritto’ e non ‘secondo equità’.
In alcuni casi le clausole compromissorie
vedranno la devoluzione della controversia ad un unico arbitro scelto
congiuntamente dalle parti, in altri casi a tre arbitri, di cui uno
scelto da ciascuna parte ed il terzo congiuntamente.
Solo in determinati casi, laddove trattasi di questioni ‘transnazionali’, si preferirà l’arbitrato internazionale.
Il contraltare
dell’apposizione della clausola compromissoria è che un arbitrato ha un
costo mediamente più alto, per le parti, rispetto ad un procedimento
civile ordinario; di conseguenza, con riferimento a contratti di modesta
entità economica è forse ancora preferibile l’individuazione di un Foro
esclusivo.
Contenuto di una clausola compromissoria
«Qualunque
controversia avesse ad insorgere tra le parti in relazione
all’interpretazione, qualificazione, applicazione, esecuzione, validità e
scioglimento del presente contratto sarà devoluta alla cognizione
esclusiva di un arbitro rituale, designato concordemente dalle parti, o
in mancanza di consenso dal Presidente del Tribunale di X, su domanda
della parte più diligente.
L’arbitro deciderà secondo diritto e depositerà il lodo non oltre sessanta giorni dall’accettazione della nomina».
___________________________________________
[1] Per un’ampia disamina del tema vedasi: M. Sanino-F. Verde, cit., p. 321, che richiama anche un’ulteriore tesi dottrinaria in base alla quale la non necessità di rivolgersi al giudice tutelare, ex
art. 320, comma III, c.c., non deriverebbe dalla qualificazione
dell’atto stesso tra quelli rientranti nell’ordinaria amministrazione,
ma dal fatto che si tratterebbe di un atto personale.
[2]
Il noto pallavolista è stato escluso dai Campionati Europei del 2017,
svoltisi in Polonia, in quanto ha dichiarato che non avrebbe indossato,
durante i match della Nazionale, le scarpe dello sponsor tecnico
federale. In realtà aveva motivato il rifiuto della scarpa dello sponsor
federale per esigenze ‘personalizzate’ derivanti da questioni di natura
medica.
[3] Con i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016 si è ammessa una forma di deroga per partners non olimpici
(ovvero non sponsor del CIO e/o dei singoli Comitati Olimpici
Nazionali, nei confronti dei quali vige una disciplina diversa) mediante
un iter molto rigoroso che prevedeva il consenso scritto da
parte dell’atleta nonché l’approvazione, specifica per singolo caso, da
parte del Comitato Olimpico Nazionale. Le proposte di campagne di advertising
tradizionali, così come quelle digital & social, non dovevano
essere a tema olimpico, né direttamente né indirettamente in
associazione con i Giochi Olimpici, il Comitato Olimpico Internazionale,
Rio 2016, il Comitato Organizzatore, il Comitato Olimpico Nazionale o
la Squadra Olimpica Nazionale.
[4] Per un’analisi dettagliata delle morality clauses, vedasi, in particolare: A Chiaberge, Note in tema di clausole morali nel contratto di testimonial pubblicitario, in Riv. dir. ind., fasc. 6, 2015, p. 393.
[5] Trib. Milano, 09/02/2015.
[6] Per un’analisi compiuta circa l’evoluzione dell’inadempimento in un contratto di sponsorizzazione vedasi: L. Colantuoni, cit., p. 237 ss.
[7] Su tutte Cass. civ., sez. III, 26/07/2002, n. 11055.
[8] Trib. Milano, 09/02/2015.
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