Amministratore condominio non recupera crediti: che fare?
Condòmini morosi: l’amministratore è obbligato ad attivarsi per recuperare i crediti condominiali per non incorrere nelle conseguenze di una responsabilità contrattuale; se non lo fa, cosa possono fare i singoli condòmini?
Indice
- 1 Recupero crediti dai condòmini morosi: prima e dopo la riforma del 2012
- 2 Cosa deve fare l’amministratore se un condòmino non paga?
- 3 È obbligatorio che prima di intraprendere l’azione legale l’amministratore invii solleciti bonari ai condòmini morosi?
- 4 Cosa possono fare i condòmini non in mora con i pagamenti, se l’amministratore non inizia l’azione giudiziaria nei confronti dei morosi?
- 5 Cosa succede se l’amministratore inizia l’azione giudiziaria ma non la segue o l’abbandona?
- 6 Il singolo condomino può sostituirsi all’amministratore che non si è attivato per riscuotere i contributi condominiali?
Recupero crediti dai condòmini morosi: prima e dopo la riforma del 2012
Per la riscossione delle spese condominiali l’amministratore ha un ruolo fondamentale in quanto rappresentante dei condòmini ed è chiamato a svolgere il proprio incarico nel rispetto delle norme che disciplinano il contratto di mandato, nonché nel pieno rispetto della normativa specifica in materia di condominio. Vediamo cosa accadeva prima della riforma del condominio del 2012 e cosa invece accade (o dovrebbe accadere) oggi.
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Prima della riforma
Prima della riforma del condominio del 2012 [1], l’amministratore aveva sì il compito di riscuotere i contributi condominiali [2], ma la legge non gli imponeva di attivarsi per recuperarli attraverso un’azione legale in caso di morosità. L’azione legale per il recupero forzoso era una mera facoltà dell’amministratore, come confermato in più occasioni (e anche di recente [3]) dalla Corte di Cassazione.In diversi casi, infatti, a fronte delle legittime lamentele dei condòmini puntuali nei pagamenti, l’amministratore poteva giustificare la propria inerzia spiegando di aver valutato la convenienza di un’azione giudiziaria nei confronti dei morosi e di aver stabilito che qualunque azione avrebbe potuto portare ad un nulla di fatto e che, pertanto, non fosse opportuno far sostenere al condominio le spese di un giudizio dall’esito incerto o negativo.
Prima della riforma, quindi, se in un condominio uno o più condòmini non pagavano le spese condominiali, l’amministratore – che deve sempre agire con la diligenza del buon padre di famiglia [4], quale principio generale che governa i contratti di mandato – ben avrebbe potuto limitarsi a inviare lettere di sollecito bonario ai morosi per invitarli a saldare le proprie quote e tale comportamento non avrebbe potuto configurare un inadempimento contrattuale non esistendo, all’epoca, nessun obbligo prescritto dalla legge di attivarsi per la riscossione forzosa.
Quindi, il compito attribuitogli dalla legge di riscuotere i contributi condominiali ben poteva essere assolto con la diligenza del buon padre di famiglia soltanto inviando lettere di sollecito ai morosi, attesa l’assenza di un obbligo previsto dalla legge di iniziare il recupero forzoso.
Dopo la riforma del 2012
Dopo la riforma, la disciplina del condominio è stata integrata e ampliata, così ora le norme generali sul mandato trovano un ambito di applicazione più ristretto in materia di condominio rispetto al periodo ante riforma. Sì, perché le norme sul mandato si applicano in via residuale e cioè solo quando non vi sia una norma specifica in materia di condominio che disciplini un determinato caso.Per esempio: la disciplina codicistica sul contratto di mandato non impone al mandatario (nel nostro caso, l’amministratore di condominio) il recupero forzoso di crediti insoddisfatti, ma la nuova normativa sul condominio sì. Quindi quale normativa si applica? La norma prescritta dalla disciplina specifica sul condominio.
Ed è proprio in tale direzione che è andata la riforma del 2012, obbligando l’amministratore a riscuotere i contributi condominiali attraverso la più opportuna azione legale per il recupero forzoso del credito, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio [5], nonché a seguire con scrupolo e massima diligenza il procedimento giudiziario una volta iniziato e fino al procedimento di esecuzione (pignoramento), pena la possibile revoca giudiziaria per grave irregolarità [6], su ricorso di ciascun condòmino. Oggi, quindi, i condòmini che non pagano puntualmente non possono più fare affidamento sull’inerzia dell’amministratore o sul buon rapporto di amicizia con quest’ultimo, perché egli sarà costretto ad agire chiunque sia il condòmino cattivo pagatore.
È bene precisare che, da tale obbligo previsto per legge, l’amministratore potrebbe essere dispensato dall’assemblea: l’assemblea dei condòmini potrebbe, ad esempio, decidere di concedere più di sei all’amministratore prima di agire legalmente contro i condòmini in ritardo nei i pagamenti.
Cosa deve fare l’amministratore se un condòmino non paga?
Entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, l’amministratore dovrà agire in giudizio per la riscossione dei contributi condominiali non pagati. Il dettato normativo è secco e preciso quando parla di riscossione forzosa e non lascia dubbi circa il fatto che l’amministratore è obbligato a proseguire l’azione per il recupero del credito fino al pignoramento.Dunque, per prima cosa, l’amministratore dovrà munirsi di un titolo esecutivo, in particolare, di un decreto ingiuntivo, nominando un avvocato di sua fiducia (non essendo obbligato a rivolgersi all’assemblea per l’autorizzazione) affinché presenti al giudice competente un ricorso finalizzato, appunto, ad ottenere l’ingiunzione di pagamento contro il condòmino moroso.
Il ricorso per decreto ingiuntivo dovrà essere fondato su prova scritta, bisognerà quindi allegare il piano di riparto delle spese approvato dall’assemblea oltre che il conto consuntivo o preventivo e qualunque altra prova scritta utile a dimostrare l’inadempimento del condòmino contro cui si vuole ottenere l’ingiunzione di pagamento. In particolare, affinché il giudice conceda la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, è fondamentale allegare il piano di riparto delle spese approvato dall’assemblea.
Ottenere l’esecuzione provvisoria significa che è possibile iniziare subito l’azione esecutiva, notificando al condòmino l’atto di precetto e poi il pignoramento, senza attendere i 40 giorni dalla notifica come nei casi di decreti ingiuntivi non provvisoriamente esecutivi.
Chiaramente, la provvisoria esecutorietà non incide sul diritto dell’ingiunto di proporre comunque opposizione nei 40 giorni successivi alla notifica del decreto ingiuntivo. Ad ogni modo, la nuova norma introdotta dalla riforma con il nono comma dell’art. 1129 del codice civile impone all’amministratore di intraprendere qualunque azione legale per il recupero delle spese, anche un’azione giudiziaria ordinaria finalizzata ad accertare l’ammontare del credito del condominio nei confronti del condòmino moroso e chiedere la condanna dello stesso al pagamento, azione che dovrà sempre proseguire fino all’esecuzione e quindi fino alla riscossione forzosa.
Per completezza, giova ricordare che contro i condòmini non in regola con i pagamenti l’amministratore ha anche il potere di sospendere i servizi suscettibili di godimento separato [7], ma solo quelli che non incidono su diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti e solo dopo un’attenta valutazione del caso concreto, per evitare di incorrere in un illecito.
È obbligatorio che prima di intraprendere l’azione legale l’amministratore invii solleciti bonari ai condòmini morosi?
L’amministratore non è obbligato a inviare un sollecito bonario, anche se questa è una prassi utile e spesso capita che già dopo la lettera di sollecito il condòmino moroso ottemperi al pagamento della sua quota. È, invece, obbligatorio che l’amministratore inizi l’azione legale entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio.Per esempio: se Tizio condòmino del condominio Alfa non ha pagato la propria quota di 300 Euro per spese condominiali relativa all’anno 2017, una volta approvato il conto consuntivo dell’anno 2017 – con cui si chiude l’esercizio nel quale il credito è sorto – l’amministratore dovrà attivarsi per il riscuotere da Tizio i 300 Euro che non ha pagato nominando un avvocato al fine di ottenere un decreto ingiuntivo dal giudice competente e procedere, se Tizio non paga, con l’azione esecutiva vera e propria che porta al pignoramento di beni mobili, immobili o somme di denaro di proprietà di Tizio.
Sul punto, però, occorre precisare che se l’amministratore mette in mora il condòmino moroso compie comunque un’azione utile ad evitare la prescrizione del credito: i crediti condominiali, infatti, si prescrivono in 5 anni. Ad ogni modo, questo piccolo risultato non è sufficiente a tutelare gli interessi del condominio, per cui certamente l’amministratore dovrà agire in giudizio per la riscossione.
Cosa possono fare i condòmini non in mora con i pagamenti, se l’amministratore non inizia l’azione giudiziaria nei confronti dei morosi?
Sicuramente possono agire in giudizio per la revoca dell’amministratore e chiederne la condanna al risarcimento danni. L’amministratore, che non si attivi nei modi e nei tempi previsti dalla legge per riscuotere i contributi condominiali dai morosi, è inadempiente rispetto agli obblighi su di esso gravanti per legge e commette una grave irregolarità. Si tratta di un inadempimento contrattuale, la cui azione giudiziaria si prescrive in 10 anni.Come abbiamo detto all’inizio, infatti, l’amministratore svolge il proprio ruolo sulla base di un contratto di mandato da cui discende il dovere di eseguire correttamente gli obblighi che la legge gli impone, diversamente rischia di essere revocato e chiamato a risarcire i danni che con il suo comportamento abbia eventualmente causato al condominio. L’amministratore, quindi, non può più attendere all’infinito che i condòmini paghino né può accettare passivamente il loro inadempimento, ma entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio deve iniziare l’azione legale di recupero crediti.
L’amministratore può agire in giudizio contro i morosi anche se sono decorsi più di sei mesi dalla chiusura dell’esercizio? Certo, ma dato che la legge stabilisce di attivarsi “entro” sei mesi farlo successivamente potrebbe essere per lui fonte di responsabilità.
Per sintetizzare, facciamo un semplice esempio: l’amministratore del condominio Alfa, dopo l’approvazione del consuntivo del 2017, si accorge che non solo Tizio non ha pagato la propria quota di 300 Euro, ma neanche Caio, Sempronio e Mevio. Dopo diversi mesi, Tizia, anziana condòmina sempre puntuale nei pagamenti, chiede all’amministratore lumi su alcuni disservizi nell’edificio; in particolare, gli fa notare che l’ascensore che, nelle settimane precedenti ogni tanto si bloccava, ora non funziona più e lei è costretta a salire a piedi fino al quarto piano. L’amministratore, consapevole che le casse del condominio sono al verde perché Tizio, Caio, Sempronio e Mevio, suoi cari amici d’infanzia, non sono in regola con i pagamenti, risponde che non ci sono soldi in cassa e quindi non è stato possibile intervenire per il rispristino dell’ascensore.
Così, Tizia, che è a conoscenza del rapporto di amicizia tra l’amministratore e alcuni condòmini, decide di farsi dare la documentazione da cui si evincono i pagamenti e scopre che la mancanza di soldi è dovuta al fatto che, a differenza sua, molti condòmini non pagano le spese di loro competenza.
Essendo stato approvato ormai da più di sei mesi il conto consuntivo dell’anno in cui quelle somme mancanti sarebbero dovute essere riscosse, avendo trovato solo vecchi solleciti bonari inviati direttamente dall’amministratore ai condòmini morosi, ma nessuna procura alle liti conferita ad un legale per agire in giudizio contro questi cattivi pagatori, Tizia si reca subito da tutti gli altri proprietari che, come lei, sono sempre puntuali nei pagamenti e insieme decidono di agire contro l’amministratore.
Quindi, adiscono le vie legali per chiedere e ottenere la revoca giudiziaria dell’amministratore che non si è attivato per la riscossione forzosa delle quote non pagate e per ottenere da lui il risarcimento del danno consistente, in questo caso, nella spesa da sostenere per la sostituzione dell’ascensore ormai definitivamente rotto.
Altro esempio potrebbe riguardare il caso in cui, a causa dell’inerzia dell’amministratore verso i morosi, non vengano pagate le bollette della luce, con conseguente distacco della corrente o addebito di interessi di mora o, peggio ancora, inizio di un’azione di recupero crediti nei confronti del condominio. Sebbene la normativa in materia obblighi i terzi creditori del condominio ad escutere prima i condòmini in mora con i pagamenti (il cui elenco dovrà essere fornito al terzo dall’amministratore), in caso di insolvenza di questi ultimi il terzo creditore potrà comunque agire contro i condomini in regola.
Cosa succede se l’amministratore inizia l’azione giudiziaria ma non la segue o l’abbandona?
Come prima si accennava, l’amministratore non ha soltanto l’obbligo di iniziare la causa per riscuotere forzosamente i crediti condominiali, ma anche l’obbligo di seguire l’iter giudiziario con diligenza fino al procedimento di esecuzione e cioè sino al pignoramento. Non può in alcun modo disinteressarsene.Ad esempio, dovrà produrre tutta la documentazione necessaria su richiesta dell’avvocato nominato e che, magari, ha bisogno di integrare la produzione documentale allegata al proprio fascicolo di parte o rendersi disponibile in caso fosse necessario farsi ascoltare durante il giudizio, insomma, l’amministratore dovrà fare tutto il necessario per assicurare il buon esito della causa a favore del condominio, il cui principale obiettivo è quello di riscuotere materialmente i contributi non pagati dai morosi.
Il singolo condomino può sostituirsi all’amministratore che non si è attivato per riscuotere i contributi condominiali?
Sebbene non vi sia una norma specifica che autorizzi il singolo condòmino in regola con i pagamenti ad agire in giudizio direttamente contro i morosi, questa possibilità si ricava da altre norme generali e dal pacifico orientamento giurisprudenziale.Il singolo condòmino, infatti, agisce nell’interesse comune (e non per reintegrare il proprio patrimonio personale) cioè per evitare danneggiamenti e/o aggravi di spese e per rimpinguare le casse condominiali al fine di affrontare le spese per la ordinaria gestione del condominio. Per questo motivo è possibile pensare che, a fronte dell’inerzia conclamata e protratta dell’amministratore che si disinteressa al recupero dei crediti condominiali, il singolo condòmino in regola possa sostituirsi all’amministratore iniziando l’azione legale per il recupero dei crediti dai condòmini morosi.
Questa soluzione è probabilmente la migliore in termini di risultato, ma ovviamente è necessaria una preliminare e approfondita valutazione per evitare di sostenere spese di giudizio e poi fare un buco nell’acqua se non si riesce a riscuotere nulla, rischiando di immolarsi per tutti e rimetterci di tasca propria.
Di ROSA PIGNATARO
fonte:
https://www.laleggepertutti.it/247597_amministratore-condominio-non-recupera-crediti-che-fare
[1] L. 220/2012.
[2] Art. 1130 cod. civ.
[3] Cass. Civ. sez. VI sent. n. 24920 del 20.10.2017.
[4] Art. 1710 cod. civ.
[5] Art. 1129 co. 9 cod. civ. e art. 63 Disp. Att. cod. civ.
[6] Art. 1129 co. 12 n. 6 cod. civ.
[7] Art. 63 Disp. Att. cod. civ.
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