lunedì 26 marzo 2018

Danni causati dal conduttore al termine della locazione: onere della prova Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 15/03/2018 n° 6387

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Danni causati dal conduttore al termine della locazione: onere della prova

Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 15/03/2018 n° 6387


Alla scadenza del rapporto di locazione, il conduttore è tenuto, secondo quanto disposto dall'articolo 1590 c.c., a risarcire i danni causati all’immobile ed a restituirlo nello stato medesimo in cui l’ha ricevuto, salvo il normale deterioramento o il consumo, risultante dall’uso della cosa, conformemente a quanto previsto nel contratto. La prova degli eventuali danni riscontrati, potrà essere fornita anche mediante presunzioni.
E’ quanto precisato dalla Corte di Cassazione, sez. III Civile, nella sentenza n. 6387/18, depositata il 15 marzo scorso.
Nella vicenda in esame, parte locatrice aveva convenuto in giudizio la società conduttrice per chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni, da quest’ultima causati all’immobile locato. Il Tribunale di prime cure ha accolto la domanda risarcitoria proposta, ma la Corte di merito ha poi ribaltato tale decisione, negando il risarcimento. Avverso detta sentenza, la locatrice ha presentato ricorso per cassazione.

Nell’esaminare il caso de quo, la Suprema Corte ha innanzitutto evidenziato che è preciso onere del conduttore dimostrare il fatto impeditivo della propria responsabilità, ovvero che il deterioramento dell’immobile si sia verificato per uso conforme al contratto di locazione, o comunque, per causa a lui non imputabile. La prova del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria può essere fornita dal locatore anche mediante presunzioni, che potrebbero costituire l’unica fonte di convincimento del giudice, trattandosi di una "prova completa”. Qualora la presunzione venga ammessa, in assenza di prova contraria, il giudice sarà tenuto a ritenere provato il fatto previsto, senza poter effettuare una valutazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c.

Pertanto, come già ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla prova per presunzioni semplici, nel dedurre un fatto ignoto da uno noto, il giudice di merito ha come solo limite il principio della probabilità. A ciò si aggiunga che, la valutazione degli indizi riguarda solo il giudizio di merito, spettando alla Suprema Corte solo il controllo della correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute, nonché l’esame sulle massime di esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie. Dunque, una volta fornita la prova, anche mediante presunzioni, dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria, da parte del locatore, spetta al conduttore convenuto dimostrare il fatto impeditivo, modificativo o estintivo.

Nella fattispecie in esame, secondo la Cassazione, la Corte di merito ha disatteso i principi sopra esposti, giungendo a conclusioni apodittiche, illogiche ed erronee. In particolare, i giudici di merito, hanno dichiarato di voler prescindere da ogni considerazione relativamente allo stato dell’immobile, ovvero se esso fosse in una condizione peggiore di quella dovuta all’utilizzo ultra quarantennale dell’immobile per un’attività commerciale" e che lo stesso "determinasse ex se una diminuzione patrimoniale per i ricorrenti in termini di danno emergente o di lucro cessante".

Ebbene, non è stato svolto tale accertamento che costituisce il fondamentale presupposto della domanda risarcitoria proposta dagli odierni ricorrenti. Inoltre, i giudici di secondo grado si sono anche discostati immotivatamente dalle risultanze della CTU svolta dinanzi al Tribunale, che aveva individuato degli importi proprio a titolo di «decremento del valore dell'immobile derivante dai danni riscontrati». Nulla poi risulta argomentato dalla Corte di merito in ordine alla possibilità che del danno da lucro cessante de quo la prova possa essere dal locatore data anche per, presunzioni.

In conclusione, secondo la Cassazione il danno da lucro cessante era stato dimostrato tramite presunzioni, ignorate dai giudici di secondo grado, i quali al contrario, a tale prova avrebbero dovuto attenersi.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ritenendo inammissibile, illogica e contraddittoria la conclusione espressa dai giudici di merito nell’impugnata sentenza, in quanto fondata su una mera astratta congettura o supposizione, ha accolto i motivi di ricorso e cassato la sentenza impugnata.
Sul tema si segnala:
Le prove civili Previti Stefano, CEDAM, 2018
(Altalex, 23 marzo 2018. Nota di Maria Elena Bagnato)

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