venerdì 20 aprile 2018

Contributi per gli investimenti 2018. Pubblicato il decreto di assegnazione del contributo

Contributi per gli investimenti 2018. Pubblicato il decreto di assegnazione del contributo: È stato pubblicato sul sito del Ministero dell’interno (http://dait.interno.gov.it/finanza-locale/documenti/decreto-interministeriale-13-aprile-2018) il decreto interministeriale del 13 aprile 2018 di assegnazione dei 150 milioni di euro



a castiglione nessun fondo arrivato....

lista civica il progresso di castiglione 

comune di Castiglione D'Adda -- DISTRIBUZIONE SACCHI E CALENDARIO PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

DISTRIBUZIONE SACCHI E CALENDARIO PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

 http://www.comune.castiglionedadda.lo.it/2018/04/distribuzione-sacchi-e-calendario-per-la-raccolta-differenziata/

Si informano gli utenti che, dal 23/04/2018 al 12/05/2018, nei giorni di LUNEDI’ e SABATO, dalle ore 9:00 alle ore 12:00, presso i magazzini comunali di via Roma 130, verranno consegnati i SACCHI ed IL CALENDARIO per la RACCOLTA DIFFERENZIATA alle utenze domestiche (nuclei familiari iscritti al ruolo TARI).
Si avvisa che, oltre tale termine, non sarà più possibile ritirare i sacchi.

Allegati

Spazi finanziari regionali 2018 - Regione Lombardia approva la distribuzione

Spazi finanziari regionali 2018 - Regione Lombardia approva la distribuzione: Regione Lombardia con la Delibera n. 22 del 16 aprile 2018  ha approvato la distribuzione di spazi finanziari ai Comuni applicando quanto previsto dal DPCM n. 21 del 21 febbraio 2017. 
Sono stati messi a disposizione dei Comuni lombardi 33





come mai a castiglione d'adda non sono stati chiesti questi fondi?

boh....vedremo....ciao

mercoledì 18 aprile 2018

Tasse sulle imprese da record: vedi le statistiche anche del lodigiano!

https://www.pmi.it/impresa/contabilita-e-fisco/265321/tasse-sulle-imprese-da-record.html#_=_

Tasse sulle imprese da record: vedi le statistiche anche del lodigiano!

Pressione fiscale elevata a Milano e nelle Province di Monza Brianza e Lodi: Assolombarda evidenzia aumenti per molte delle tasse locali.


 La pressione fiscale nel territorio della Città Metropolitana di Milano e delle Province di Monza e Brianza e Lodi ha subito un incremento costante tra il 2012 e il 2017. A sottolinearlo è il sesto “Rapporto sulla fiscalità locale” promosso da Assolombarda, che mette a confronto le imposte che gravano sugli immobili di impresa – IMU, TASI, TARI, oneri di urbanizzazione – così come l’Addizionale IRPEF.
Il rapporto, che ha monitorato 250 Comuni, rappresenta una fotografia complessiva dell’impatto della fiscalità locale sulle attività produttive. L’aumento della pressione fiscale per le imprese, relativamente agli uffici, è pari all’8,7% negli ultimi cinque anni con un incremento medio pari a 619 euro. Una percentuale superiore caratterizza i capannoni industriali, con un aumento di 3.346 euro.

IMU, TASI e TARI



Se IMU e TASI sono rimaste sostanzialmente invariate tra 2016 e 2017, nessuna delle amministrazioni monitorate ha proposto ribassi, fatta eccezione per Legnano. Dal 2012 gli importi sono cresciuti dell’11,3% per gli uffici e del 22,1% per i capannoni. A diminuire è stata invece la tassa sui rifiuti: nel 2017 la TARI nei principali Comuni è calata in media dell’1,4% per gli uffici e dell’1,6% per i capannoni industriali.

Proposte

Il report si propone anche di fornire possibili linee di intervento future, come ha spiegato Carlo Ferro, Vicepresidente di Assolombarda con delega a Politiche industriali e Fisco.
Occorre ridurre il peso dell’imposizione fiscale sulle imprese e snellire la burocrazia per rendere il territorio ancora più attrattivo, in aggiunta ai suoi requisiti di imprenditorialità, competenze e qualità del lavoro, e far crescere la competitività delle nostre aziende. A cominciare, per esempio, dalla rimodulazione del carico fiscale tra IMU e TASI: quest’ultima, infatti, è interamente deducibile dalle imposte sui redditi delle società e pertanto più conveniente a parità di gettito per il Comune. Oltre alla necessità di uniformare l’interpretazione della norma sulla TARI in relazione ai magazzini funzionali all’attività produttiva, che molti Comuni continuano a tassare nonostante il Ministero dell’Economia e delle Finanze li abbia dichiarati esenti da imposta.

tratto da pmi.it

di Teresa Barone
scritto il

Criptovalute: un tentativo di inquadramento fiscale

Criptovalute: un tentativo di inquadramento fiscale

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di Stefania Montagna

fiscoetasse.com

 

 https://www.fiscoetasse.com/approfondimenti/13062-criptovalute-un-tentativo-di-inquadramento-fiscale.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2018-04-18

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L'inquadramento fiscale delle criptovalute tra cui la piu' nota Bitcoin attendono ancora la disciplina civile e fiscale nonostante a loro diffusione

Le criptovalute sono un’ invenzione dell’uomo che, seppure possa vantare ormai quasi un decennio, trova la sua affermazione negli ultimi due anni. La nascita della prima criptovaluta, il bitcoin, è avvenuta nel gennaio del 2009 ed è sostanzialmente da ricondurre alla volontà di creare, dopo la bolla finanziaria del 2008, una soluzione alternativa a quel sistema che ha portato al dissesto un alto numero di risparmiatori.
Tale soluzione doveva necessariamente quindi far convergere il consenso e la fiducia della collettività con la dimensione digitale; ed ecco la nascita del Blockchain.
L’infrastruttura su cui si basano le cripto valute è appunto il Blockchain, ovvero un registro digitale in grado di tenere traccia di tutte le transazioni garantendo inoltre la sicurezza dei pagamenti e la certificazione delle proprietà. Le persone possono, grazie a questo sistema, scambiarsi Bitcoin senza  passare da istituzioni bancarie, carte prepagate o carte di credito.
In parole povere le criptovalute possono essere viste come files, dotate di un controvalore economico, che permettono, a chi le possiede di scambiare beni e servizi.

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Le cripto valute attendono le norme civili e fiscali

Dal punto di vista normativo e in particolare fiscale, non vi è ancora una legislazione specifica ed esaustiva della materia; i punti fermi a cui, ad oggi,si fa riferimento sono dati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 22 Ottobre 2015, causa C-264/14, e dalla Risoluzione 72/E del  02/09/2016.
Cerchiamo quindi, di capire il trattamento fiscale delle criptovalute ai fini dell’ Iva e delle imposte sui redditi.
Secondo i giudici europei, le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità di criptovaluta e viceversa, effettuate dietro corrispettivo per il margine dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita applicato dagli operatori ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso. Pertanto, i compensi ricevuti per l ‘attività di intermediazione di criptovalute con valute tradizionali, svolta in modo abituale e professionale, rappresenta un’attività rilevante ai fini Ires, Irap e Iva.
Secondo la sentenza in esame, tale tipo di operazioni  rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’art. 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE; siamo di fronte ad un’interpretazione autentica della direttiva Iva e, in quanto tale, deve necessariamente essere accolta a livello nazionale.
L’Agenzia delle Entrate infatti nella risoluzione 72/E, in risposta all’istanza di interpello fatta da una società a responsabilità limitata, chiarisce che l’attività finanziaria, “remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/ vendere Bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla Società sul mercato, debba essere considerata  ai fini Iva quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3) del D.P.R. 633 del 26 Ottobre 1972”.
Ai fini delle imposte dirette, dovranno essere tassati i componenti di reddito derivanti dall’attività di intermediazione di acquisto e vendita di criptovalute, al netto dei costi inerenti a tale attività. Gli elementi di reddito positivi  o negativi saranno dati dalla differenza tra i prezzi di acquisto sostenuti dalla società e i costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente oppure, in caso di vendita, alla differenza tra i prezzi di vendita praticati dalla società e i ricavi di vendita garantiti al cliente. Gli elementi positivi costituiranno i ricavi caratteristici della società e, in quanto tali contribuiranno alla formazione della base imponibile soggetta a tassazione ordinaria ai fini Ires ed Irap.
Le criptovalute, che a fine esercizio saranno nella disponibilità della società, dovranno essere valutate secondo il cambio in vigore alla chiusura dell’esercizio e tale valutazione assumerà rilievo fiscale secondo quanto disciplinato dall’art. 9 del Tuir. Occorre fare riferimento al c.d. valore normale, ovvero il valore corrispondente alla quotazione delle criptovalute al termine dell’esercizio che, come suggerito dall’amministrazione finanziaria, potrà essere considerato il valore medio delle quotazioni ufficiali riscontrabili sulle piattaforme online su cui le criptovalute vengono scambiate.
Per quanto riguarda invece,  la tassazione in capo alle persone fisiche delle plusvalenze generate  dalla vendita di criptovalute,  volendo considerarle al pari della valuta estera, bisogna fare riferimento alla scelta del legislatore italiano di tassare esclusivamente il capital gain su valute estere acquistate e detenute per finalità speculative. 
La finalità speculativa si realizza, secondo l’art. 67 comma 1-ter del Tuir quando “la giacenza dei depositi di conto corrente complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui” nel periodo d’imposta; vengono altresì considerate “detenute per finalità speculative” solo le valute estere cedute a termine.  A questo punto, una volta verificata la finalità speculativa, i plusvalori dovrebbero essere tassati con l’aliquota del 26% e, in caso di gestione affidata ad un’ intermediario finanziario, dovrebbe essere applicata la ritenuta d’acconto a titolo d’imposta.
Tuttavia, sarebbe necessario un’ intervento del legislatore poiché nella compravendita di criptovalute non si parla nè di cessione a termine , nè di deposito di conto corrente.
Inoltre secondo la BCE le valute virtuali non possono essere ricondotte alla definizione di moneta e di valuta estera ; pertanto le criptovalute potrebbero essere alternativamente:
•  ricondotte a titoli non rappresentativi di merci e quindi le eventuali plusvalenze tassate secondo quanto disciplinato dall’art 67 lettera c-ter) del Tuir;
•  considerate come “strumenti finanziari da cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto” secondo la lettera c-quinquies del comma 1 dello stesso art. 67 del Tuir.
In queste ultime due ipotesi, la tassazione sarebbe sempre pari al 26% ma troverebbe applicazione indifferentemente dai saldi detenuti dal contribuente. Così facendo, probabilmente, verrebbe tassato un numero molto più elevato di contribuenti, poiché in molti si sono avvicinanti alle criptovalute esclusivamente per fini speculativi, senza investire però, somme di denaro tali da poter essere considerate rilevanti dal diritto tributario italiano.
Considerato il crescente interesse per le valute elettroniche, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore volto a dare maggiore certezza dal punto di vista civilistico e permettere dunque un corretto inquadramento fiscale.

 

 

 

Croce Rossa italiana: selezioni in corso

https://business.laleggepertutti.it/30807_croce-rossa-italiana-selezioni-in-corso

Croce Rossa italiana: selezioni in corso 

 Croce Rossa italiana: selezioni in corso

Ecco le opportunità di lavoro in corso presso la Croce Rossa Italiana, come candidarsi ed entro quando inviare la domanda
Sono molteplici i profili ricercati dalla Croce Rossa Italiana ai fini dell’assunzione a tempo determinato e indeterminato. Ecco le selezioni in corso e come candidarsi per lavorare nella Croce Rossa Italiana.

Croce Rossa Italiana: la storia

L’ Associazione della Croce Rossa Italiana (Cri) è un soggetto di diritto privato ad interesse pubblico con sede a Roma. Essa nacque nel 1863 per mano di un giovane svizzero, Jean Henry Dunant, il quale avendo assistito al massacro della battaglia di Solferino del 1859, anche a causa dell’insufficienza dell’assistenza sanitaria militare, aveva pensato di creare una squadra di infermieri volontari preparati, che potessero dare supporto alla sanità militare. Da questa idea, durante il Convegno di Ginevra, sono poi nate le società nazionali di Croce Rossa, compresa la Croce Rossa Italiana (Cri).
L’organizzazione volontaria, neutrale e indipendente, offre assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che in situazioni di conflitto. Opera sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica e fa parte del Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. Attualmente conta circa 150mila volontari distribuiti sul territorio nazionale.

Croce Rossa Italiana: le opportunità di lavoro

Attualmente la Croce Rossa Italiana sta cercando diplomati e laureati, per assunzioni a tempo determinato e indeterminato, in particolare modo per le sedi di Lazio, Lombardia e Sicilia. Inoltre, per alcune posizioni, è prevista anche la possibilità di effettuare missioni sia in Italia che all’estero.
Ecco un breve elenco delle figure ricercate al momento per le quali è possibile candidarsi:

Croce Rossa italiana: posizioni e sedi

Per la sede di Roma si selezionano le seguenti figure:
  • Coordinatore Nazionale Centri Accoglienza Migranti 
I candidati per questa posizione devono essere laureati preferibilmente in materie giuridiche. Devono avere esperienza di 5 anni nell’accoglienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale ed umanitaria, e di coordinamento di personale. Si richiede una approfondita conoscenza delle problematiche globali di protezione e della legislazione inerenti l’andamento globale del fenomeno migratorio, l’accoglienza della popolazione in movimento, protezione dei rifugiati e della popolazione civile, sistema di accoglienza e protezione italiano. tra le competenze tecniche è richiesta un’ottima conoscenza della lingua italiana e inglese, parlata e scritta, preferibilmente anche del francese. Buone competenze informatiche e capacità di redigere report, paper, linee guida. Possesso della patente di guida B e disponibilità ad effettuare spostamenti in Italia e all’estero.
  • Administrative Officer Progetto Migrazioni
La selezione è rivolta ai diplomati in Ragioneria con almeno 3 anni di esperienza in ambito finance con organizzazioni umanitarie, e nella rendicontazione di progetti finanziati. Possiedono un’ottima conoscenza della lingua inglese e dei principali strumenti informatici. Conoscono programmi gestionali specifici, le procedure amministrative in ambito nazionale ed internazionale e la normativa di riferimento. Hanno la patente di guida di categoria B e sono disponibili ad effettuare spostamenti in Italia e all’estero. Costituisce titolo preferenziale la laurea in materie economiche e hanno formazione specifica in ambito immigrazione.
  • Protection Officer child protection 
L’offerta di lavoro è rivolta a laureati in materie giuridiche, Scienze dell’educazione, Psicologia o Scienze sociali, preferibilmente specializzati in servizi per l’immigrazione con esperienza minima di 3 anni nella protezione dei minori migranti, nell’identificazione dei bisogni, nello sviluppo e nell’offerta di servizi ai minori migranti e nelle attività di risposta ai bisogni dei minori migranti in contesti emergenziali ed ordinari. Viene richiesta ottima conoscenza della lingua inglese nonché una buona conoscenza del sistema legislativo di tutela dei minori, e la patente di guida B.
  • Training Officer 
La selezione è rivolta ai candidati laureati in materie umanistiche, preferibilmente con formazione specifica in ambito immigrazione. Viene richiesta esperienza di almeno 3 anni in istituti scolastici ed universitari inerenti l’organizzazione della didattica, nella raccolta di dati e monitoraggio, e conoscere le attività a favore delle persone migranti. Necessaria l’ottima conoscenza della lingua inglese e la patente di guida B. La conoscenza anche della lingua francese e / o araba costituisce un requisito preferenziale.
  • Medico coordinatore 
La candidatura è aperta ai Medici iscritti all’Albo professionale, con pluriennale esperienza pregressa nell’assistenza generale di tipo medico. Devono conoscere bene l’inglese, gli applicativi Microsoft Office, il Regolamento Sanitario Internazionale e le sue implicazioni Nazionali ed Internazionali, e possedere la patente di guida B. Costituiscono requisiti preferenziali l’aver lavorato nel Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa  e/o con Ong e altri soggetti nell’ambito dell’assistenza sanitaria o del pronto soccorso sanitario.
  • Medico coordinatore centro anti veleni 
Per il ruolo è richiesta l’iscrizione all’Albo professionale, esperienza nella gestione del bio contenimento, nella gestione di emergenza sanitaria in Italia ed all’estero, e in ambito DPI, biologico e chimico, uso dei mezzi di bio contenimento pressione negativa, filtri HEPA e bonifica in campo biologico e chimico. E, ancora, attestato di frequenza corsi NBCR / RSP, buon Inglese e buona padronanza di strumenti Office. Sono requisiti preferibili specializzazioni in ambito igiene, medicina di emergenza / urgenza, medicina interna, e la conoscenza del Francese e / o dell’Arabo. Gradite anche esperienze nel Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, o presso autorità come  Nazioni Unite, Ong e altri soggetti.
  • Community engagement 
I candidati per questa posizione devono essere laureati preferibilmente in Comunicazione, Scienze sociali, Psicologia, Antropologia o Sociologia ed avere almeno 3 anni di esperienza in ambito di interesse per il ruolo. Sono necessarie altresì l’ottima conoscenza della lingua inglese e preferibilmente anche la conoscenza di quella francese o araba, buone competenze informatiche e la patente di guida B.
  • Migration Advisor centro Italia, Nord Italia, Sud Italia e Isole
Si richiedono una laurea e, preferibilmente, una specializzazione in tematiche relative ai servizi per l’immigrazione. Per candidarsi occorre avere esperienza triennale in attività di supporto psicosociale, nell’identificazione dei bisogni, nello sviluppo e nell’offerta di servizi, nella costruzione e nel mantenimento di relazioni e partnership, e elle attività di risposta ai bisogni delle persone migranti. Bisogna conoscere l’Inglese ad ottimo livello, saper usare i principali strumenti informatici e possedere la patente di guida B. Costituisce requisito preferenziale la conoscenza anche della lingua francese e di quella araba.
  • Psycosocial support coordinator 
La selezione è rivolta a laureati in Psicologia o discipline affini, con almeno 3 anni di esperienza in attività di supporto psicosociale, interventi Pss con utilizzo metodo ‘community based approach’ e nell’ambito di attività rivolte ai migranti. Si richiedono ottima conoscenza dell’inglese, buona conoscenza dei più diffusi strumenti informatici e il possesso della patente di guida categoria B.
  • Senior Protection Advisor 
La figura ricercata è un laureato, meglio se specializzato in servizi per l’immigrazione, con almeno 5 anni di esperienza. Deve possedere una conoscenza fluente della lingua inglese e buone doti informatiche. Inoltre, deve conoscere i meccanismi di salvaguardia di adulti e della legislazione per la tutela dell’infanzia, gli standard di protezione, le tematiche settoriali ed i processi di advocacy in ambito protezione. Completano il profilo il possesso della patente di categoria B e la flessibilità ad effettuare spostamenti a livello nazionale e internazionale.
  • Training Coordinatore 
La figura sarà responsabile della definizione del sistema di formazione, a tutti i livelli, per le attività legate all’area Migrazione. Per questo ruolo si ricercano laureati specializzati nel training cycle e con eventuale formazione specifica in ambito immigrazione. Devono avere lameno 5 anni di esperienza nel coordinamento di attività formative, erogazione di formazione, docenza presso enti di formazione riconosciuti ed accreditati / qualificati, monitoraggio, meglio se in istituti scolastici ed universitari. Devono conoscere la lingua inglese e i più diffusi sistemi informatici ad ottimo livello, avere la patente di guida B ed essere disponibili a viaggiare sia in Italia che all’estero. L’eventuale conoscenza della ligua francese e/o araba sarà valutata positivamente.
Tutte le candidature dovranno essere inviate entro il 20 aprile.
Per le altre sedi, invece, si selezionano le seguenti figure:
  • Reception Advisor – Lombardia, Sicilia
I candidati ideali sono laureati in Scienze politico sociali, giuridiche, umanistiche o economico statistiche, o in discipline equivalenti, preferibilmente con formazione specifica in ambito di immigrazione. Si richiedono esperienza esperienza nel monitoraggio e valutazione di progetti ed attività sociali, e nelle attività di risposta ai bisogni delle persone migranti, meglio se presso centri di accoglienza. Per candidarsi occorre possedere la patente di guida b e un’ottima padronanza dell’Inglese, saper usare i principali strumenti informatici ed essere disposti alla mobilità sul territorio italiano ed estero.
Candidature entro 30 aprile.
  • Medico sorveglianza sanitaria – Malpensa (Varese)
    La candidatura è aperta ai Medici iscritti all’Albo professionale, con pluriennale esperienza pregressa nell’assistenza generale di tipo medico e preferibilmente specializzati in igiene, infettivologia, dermatologia o malattie dell’apparato respiratorio. Devono aver maturato pluriennale esperienza nel ruolo in ambito emergenziale e/o profilassi internazionale e transfrontaliera e nel campo delle attività sanitarie in favore dei migranti o categorie ritenute vulnerabili. Devono conoscere bene l’Inglese e/o il Francese e i principali sistemi informatici. Sono requisiti preferenziali  le esperienze pregresse di lavoro nel Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e/o con organizzazioni quali Nazioni Unite, Ong e simili, e/o presso la CRI o in altre organizzazioni di volontariato, e / o quali formatori nell’ambito dell’assistenza sanitaria o del pronto soccorso sanitario.
Candidature entro 28 aprile.
  • Rfl Caseworker – Palermo, Catania, Messina
La figura ricercata ha conseguito una laurea, meglio se in Scienze politiche, Relazioni internazionali, Lingue e Letterature straniere, Mediazione linguistica e interculturale o Giurisprudenza. Ha maturato esperienza pregressa, preferibilmente nell’ambito della migrazione o delle attività sociali, e/o del Servizio di Restoring Family Links e/o nel Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, anche di volontariato. Ha la patente di guida B, è disponibile a spostarsi sul territorio regionale (isole comprese), e conosce bene Office, l’Inglese, il Francese e / o l’Arabo.
Candidature entro 20 aprile.

Croce Rossa Italiana: come candidarsi?

Gli interessati alle assunzioni Croce Rossa Italiana e alle opportunità di lavoro attive possono visitare la pagina dedicata alle carriere sezione “Lavora con noi”. Dalla stessa è possibile prendere visione delle posizioni aperte e candidarsi, inviando il cv e una lettera di presentazione tramite mail all’indirizzo di posta elettronica indicato per rispondere a ciascun annuncio. Le candidature devono essere inviate entro i termini di scadenza indicati per ciascuna posizione.

Croce Rossa Italiana: il volontariato

Durante tutto l’anno, la Cri raccoglie anche le candidature di aspiranti Volontari Croce Rossa Italiana. Per diventare un volontario della Croce Rossa occorre frequentare un corso di formazione, conseguendo il relativo attestato di partecipazione e superare un esame finale.
Per candidarsi come volontari occorre lasciare i propri recapiti presso la sede Cri più vicina o telefonicamente o attraverso l’apposito form online.

note

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Chi perde un cane deve denunciarlo?

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Chi perde un cane deve denunciarlo?

 Chi perde un cane deve denunciarlo?

Denuncia di smarrimento del cane: come si scrive, dove si fa e a chi deve essere presentata. 
Hai perso il cane che avevi registrato regolarmente all’anagrafe canina. Hai diffuso la notizia in tutto il quartiere, chiedendo ai negozianti e ai vicini di casa se lo hanno visto passare di lì. Per renderlo più facilmente riconoscibile hai anche stampato una fotografia e hai affisso una serie di avvisi ai pali della luce, alla fermata dei pullman, sulle vetrine di qualche supermercato, sui portoni dei condomini limitrofi. A questo punto non ti resta che aspettare che qualcuno lo trovi e ti avvisi. Intanto, sotto l’aspetto burocratico, vuoi metterti in regola: vuoi conoscere gli adempimento da seguire e sapere se chi perde un cane deve denunciarlo alla polizia, alle autorità o a qualsiasi altro soggetto pubblico, qual è il modello di denuncia di smarrimento del cane e a chi va presentato.
In questo articolo cercheremo di spiegarti quali sono gli obblighi del proprietario dell’animale, del possessore o anche del semplice detentore (ad esempio il dog-sitter). Dovrai fare molta attenzione e non sottovalutare queste regole: la presenza del microchip o del tatuaggio rendono il tuo cane riconoscibile agli addetti del randagismo e, qualora dovesse prenderlo l’accalappiacani, tu saresti soggetto a delle multe.

Obbligo di identificare il proprio cane

Chi ha un cane deve “denunciarlo”. È questa la prima regola per chi decide di avere un animale domestico. Al cane viene data una sorta di targa o di carta d’identità: si tratta di un codice di identificativo che lo accompagna per tutto il corso della sua vita.
Dal 1° gennaio 2005, in Italia l’unico sistema di identificazione dei cani è il microchip. Si tratta di un dispositivo molto piccolo, di circa 11×2 millimetri , senza batteria, che emana onde radio non dannose per l’animale e che è inesatto solamente nella zona attorno alla scapola o al collo da un veterinario. Tramite appositi lettori è possibile “estrarre” dal microchip tutte le informazioni necessarie per risalire al proprietario del cane.
Il costo per l’impianto del microchip varia da Regione a Regione: si va dai 5 ai 10 euro (presso alcune Asl è gratuito) mentre, se effettuato da un veterinario libero professionista, dai 20 ai 30 euro.
Il proprietario o il detentore dell’animale ha l’obbligo di identificarlo entro i due mesi di vita o entro il secondo mese da quando è venuto in possesso del cane (in questo caso però il termine può variare da Regione a Regione, per cui è bene informarsi). L’identificazione avviene mediante l’applicazione del predetto microchip. Si tratta di un adempimento che può svolgere solo un medico veterinario pubblico o libero professionista autorizzato. Subito dopo aver “impiantato” il microchip, il veterinario deve denunciare il cane all’anagrafe canina. L’obbligo scatta anche per chi, prima del 2005, aveva identificato il cane con il tatuaggio e questo è divenuto illeggibile. Pertanto il microchip è divenuto obbligatorio per tutti i cani, di qualsiasi razza e taglia, mentre è facoltativo per gli altri tipi id animali.

Che fare in caso di smarrimento di un cane

Il proprietario, il possessore o il semplice detentore deve denunciare la scomparsa del cane entro tre giorni da quando lo ha perso. La denuncia va presentata:
  • alla polizia municipale del Comune in cui lo smarrimento si è verificato;
  • o al dipartimento di prevenzione veterinario dell’Asl competente per territorio (in questo ultimo caso generalmente sono predisposti dei moduli prestampati);
  • a un veterinario libero professionista accreditato presso il dipartimento di prevenzione veterinario dell’Asl.

Come si presenta la denuncia?

Si può andare presso l’organo di denuncia dichiarando verbalmente lo smarrimento del cane. Sarà questi a redigere il verbale.
In alternativa si può scrivere già un atto, senza particolari forme, in cui si indica:
  • la razza del cane;
  • il codice identificativo del cane;
  • il proprietario del cane
  • la data e il luogo di smarrimento del cane.

Che succede dopo la denuncia di smarrimento del cane?

Chi riceve la segnalazione deve contestualmente provvedere a registrarla all’anagrafe canina e rilasciare contestuale ricevuta al denunciante. Ciò serve per tutelare contro l’abbandono e permette la riconsegna del canoe in caso di ritrovamento.

Che succede se non si denuncia lo smarrimento del cane?

Chi non denuncia lo smarrimento del proprio cane subisce delle sanzioni, sanzioni che tuttavia variano da Comune a Comune.
Ad esempio, in Lombardia la legge regionale [1] stabilisce l’obbligo per il proprietario, il possessore o il detentore anche temporaneo, compreso chi ne fa commercio, di iscrivere all’anagrafe canina il proprio cane entro 15 giorni dall’inizio del possesso o entro 30 giorni dalla sua nascita e, comunque, prima della sua cessione a qualsiasi titolo. Per le infrazioni è prevista una sanzione da 25 a 150 euro. In caso di cessione o trasferimento, la comunicazione va effettuata entro i 15 giorni e le sanzioni sono simili.
Il Comune di Roma prevede la sanzione di 51 euro in caso di mancata iscrizione all’anagrafe canina regionale. Nel caso di variazione di domicilio o proprietà va compilato il modulo «Denuncia di variazione art. 14 Legge regionale 34/97» e deve essere presentato dal nuovo proprietario, entro 15 giorni, al Servizio veterinario competente per territorio, che provvede ad aggiornare i dati in anagrafe canina. Il vecchio proprietario deve consegnare copia del suddetto modello alla propria Asl di competenza che effettua la cancellazione del cane a lui intestato. In caso di violazione, la sanzione per la mancata denuncia di variazione è di 309 euro.
In media, in tutta Italia le multe per le violazioni della normativa sull’apposizione di microchip variano da 25 a 150 euro mentre spesso sono più gravi in caso di violazione delle norme sul trasferimento, con sanzioni fino a 300 euro e comunque sempre in media di 150 euro.

note

[1] Legge Regione Lombardia n. 33/2009.


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martedì 17 aprile 2018

Bonus caldaie 2018: cos’è e chi può chiederlo?

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Bonus caldaie 2018: cos’è e chi può chiederlo?

 Bonus caldaie 2018: cos’è e chi può chiederlo?

L’installazione di una nuova caldaia dà diritto alla detrazione fiscale al 65% o al 50%. Vediamo come e quando spetta la detrazione 2018 
La detraibilità delle spese per l’installazione di una nuova caldaia rientra tra le agevolazioni previste dal cosiddetto Ecobonus 2018. Questo costituisce un’agevolazione fiscale consistente nella possibilità di detrarre dall’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o dall’Ires (Imposta sul reddito delle società) i costi sostenuti dal contribuente per interventi di riqualificazione energetica eseguiti in casa oppure in edifici condominiali, uffici, negozi, capannoni. Lo scopo di tali interventi è quello di aumentare il livello di efficienza energetica degli immobili esistenti.
In tale ambito si colloca appunto il bonus caldaie, anche se la disciplina del 2018 è più stringente in punto di qualità ed efficienza della caldaia scelta e montata. Vediamo, dunque, nel dettaglio il bonus caldaia 2018 cos’è e come funziona, a chi spetta, quando spetta la detrazione e in che misura percentuale. Infatti l’importo dello sconto fiscale, non è indistintamente uguale per tutti, ma dipende dalla classe energetica della caldaia installata.

Bonus caldaie 2018: quando si ha la detrazione?

Per gli acquisti compiuti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2018, i contribuenti, potranno beneficiare di un bonus caldaie a condensazione 2018 pari al 65% o al 50% a seconda dell’efficienza energetica della caldaia. Attenzione però. Lo sconto fiscale non è sempre concesso. Infatti, nel caso di installazione di una caldaia di classe inferiore alla A non è prevista detrazione alcuna. Da quanto detto, dunque, è evidente che lo sconto Irpef sarà maggiore in concomitanza con la maggiore efficienza energetica. Detto in parole semplici: più l’impianto è efficiente maggiore sarà la detrazione fiscale.
Ciò in quanto il Legislatore ha inteso agevolare ed incentivare con uno sconto fiscale maggiore esclusivamente le spese che consentono un reale risparmio energetico.

Bonus caldaie 2018: a quanto ammonta la detrazione?

La detrazione fiscale in commento intende favorire gli interventi di riqualificazione energetica degli immobili, così come tutte le altre detrazioni previste in tema di ecobonus. Ne consegue che l’efficienza energetica dell’impianto diventa il parametro per valutare l’ammissibilità della detrazione nonché la sua percentuale. Mentre per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2017 la detrazione per lavori volti a migliorare le prestazioni energetiche era pari al 65% per tutti, a partire dal 2018 l’importo dello sconto viene differenziato.
Nel dettaglio, per chi installa una caldaia ad alta efficienza energetica è applicato uno sconto Irpef (entro il limite di 30mila euro di spesa) nelle seguenti misure:
  • al 50% nel caso di acquisto e sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto;
  • al 65% nel caso di interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione di efficienza almeno pari alla classe A e contestuale installazione di: sistemi di termoregolazione evoluti, appartenenti alle classi V, VI oppure VIII o di impianti dotati di apparecchi ibridi, costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione. O ancora nel caso di acquisto e posa in opera di generatori d’aria calda a condensazione.

Bonus caldaie 2018: quando non spetta la detrazione?

Dal 2018, come detto, restano totalmente fuori dalla possibilità di beneficiare dello sconto fiscale le caldaie di classe inferiore alla A. Ne consegue che le spese sostenute ad esempio per l’installazione di una caldaia di classe B sostenute a partire dal 1° gennaio 2018 non potranno essere portate in detrazione.

Bonus caldaie 2018: come ottenere la detrazione?

L’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha messo a disposizione una guida completa all’Ecobonus con diversi approfondimenti legati al tipo di lavoro effettuato. Inoltre, dal 3 aprile scorso è attivo il nuovo sito Enea raggiungibile al seguente link attraverso il quale poter trasmettere telematicamente la documentazione necessaria relativa agli interventi di riqualificazione energetica e dunque, anche quelli relativi alla sostituzione della caldaia.
Per beneficiare del bonus caldaie 2018 è necessario il ricorrere dei seguenti requisiti generali:
  • alla data della richiesta di detrazione, l’immobile deve essere “esistente”, ossia accatastato o con richiesta di accatastamento in corso;
  • deve essere in regola con il pagamento di eventuali tributi;
  • deve essere dotato di impianto di riscaldamento.

Bonus caldaie 2018: chi può fare domanda?

Possono chiedere lo sconto fiscale tutti i contribuenti che:
  • sostengono le spese di riqualificazione energetica;
  • posseggono un diritto reale sulle unità immobiliari costituenti l’edificio.
Al posto delle detrazioni i beneficiari possono optare per la cessione del corrispondente credito.

Bonus caldaie 2018: quali sono i documenti necessari?

Colui che vuole ottenere la detrazione Irpef prevista da bonus caldaie 2018 dovrà premurarsi di trasmettere all’Enea (entro 90 giorni dalla conclusione dei lavori) la Scheda descrittiva dell’intervento di riqualificazione energetica. Dovrà, inoltre, conservare i seguenti documenti:
  • il certificato di asseverazione redatto da un tecnico abilitato;
  • la ricevuta di invio tramite internet o la ricevuta della raccomandata postale all’Enea;
  • le fatture o le ricevute fiscali dalle quali emergano le spese effettivamente sostenute per la realizzazione degli interventi;
  • la ricevuta del bonifico bancario o postale attraverso cui è stato effettuato il pagamento, se si tratti di contribuente non titolare di reddito d’impresa;
  • dichiarazione di consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario, se i lavori sono effettuati dal detentore dell’immobile.

note

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Chi paga le tasse sul Tfr?

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Chi paga le tasse sul Tfr?

Chi paga le tasse sul Tfr? 
 
Il Trattamento di fine rapporto corrisposto al lavoratore non è l’importo lordo indicato in busta paga poiché questo deve essere tassato. Vediamo come
Come noto, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore ha diritto di ricevere il trattamento di fine rapporto. Il criterio di calcolo del Tfr è dettato dal Codice Civile [1]. Ma a quanto ammonta questa cifra? Come e quanto viene tassato il Tfr? Chi paga le tasse sul Tfr? Quanti soldi in concreto vanno a finire nelle tasche del lavoratore? Scopriamolo insieme.

Tfr: che cos’è?

Il trattamento di fine rapporto (Tfr), conosciuto anche come liquidazione o buona uscita, è una somma di denaro che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dalle cause o dai motivi che ne hanno determinato l’interruzione. Il Tfr, infatti, va erogato in qualunque circostanza e qualunque sia la causa della cessazione del rapporto di lavoro; il Tfr, dunque, deve essere elargito sia al raggiungimento della pensione, che nei casi di licenziamento o dimissioni. Il suo importo è determinato sulla base di una serie di fattori che possono includere tra gli altri: scatti di anzianità, ferie e permessi, festività, provvigioni, indennità particolari,  premi ricorrenti, straordinario o supplementare, maggiorazione per turni oppure ogni altro compenso corrisposto a titolo non occasionale.

Tfr: quando deve essere pagato?

Il pagamento del Tfr deve essere elargito obbligatoriamente al lavoratore non appena si verifica la cessazione del rapporto di lavoro, rispettando inoltre i termini previsti dai Contatti Collettivi Nazionali di categoria (Ccnl). Dunque, il lavoratore, per conoscere i termini di pagamento del proprio Tfr, dovrà fare riferimento alla tempistica indicata nel proprio Ccnl di categoria, atteso che ogni settore prevede tempi diversi entro i quali il datore di lavoro ha l’obbligo di liquidazione delle somme dovute al dipendente in caso di fine rapporto.

Tfr: come e quanto viene tassato?

Il datore di lavoro, essendo tenuto a corrispondere il Tfr al lavoratore (tranne nei casi in cui lo paga l’Inps Tfr: quando lo paga l’Inps?) è anche tenuto ad effettuare il calcolo per determinare l’importo del Tfr al netto. Per farlo bisogna partire dalla versione lorda del Tfr (quella indicata in busta paga). Dal Tfr lordo, poi, è possibile passare al Tfr netto sottraendo le imposte. Ma come si calcolano?
Il calcolo del Tfr netto è compiuto dal datore di lavoro che è anche sostituto d’imposta (per saperne di più leggi Chi è il sostituto d’imposta e cosa fa?). Questo, per la determinazione del Tfr netto deve effettuare i seguenti calcoli:
  • determinare la base imponibile come somma dei Tfr accantonati negli anni;
  • determinare il reddito di riferimento;
  • determinare l’aliquota media di tassazione;
  • calcolare l’imposta Irpef.

Tfr: a quale tassazione è soggetto?

Sulla base di quanto detto il primo passaggio è, dunque, determinare la base imponibile, ossia calcolare l’importo di riferimento al fine dell’applicazione dell’aliquota di tassazione separata.
Per il calcolo del Tfr netto è necessario moltiplicare il Tfr lordo per 12 e suddividerlo per il totale degli anni di lavoro. A questo punto bisogna calcolare l’aliquota irpef media prevista dalla tassazione ordinaria per aliquote e scaglioni.
Le aliquote Irpef, in relazione alla base imponibile, sono le seguenti:
  • 23% fino a 15mila euro;
  • 27% da 15mila a 28mila euro;
  • 38% da 28 mila a 55mila euro;
  • 41% da 55mila a 75mila euro;
  • 43% da 75mila euro in poi.

Tfr pagato in ritardo: che fare?

Come detto il Tfr deve essere corrisposto al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia vi sono dei casi in cui il datore di lavoro ritarda nell’erogazione delle somme al lavoratore. Nei casi di ritardo nell’erogazione del Tfr, il lavoratore (che sia un dipendente pubblico o privato) ha sempre diritto ad inoltrare una lettera di sollecito ai fini del pagamento del Tfr; nel caso in cui il datore di lavoro non paghi si potrà successivamente procedere ad azioni legali vere e proprie.
Più in particolare, per quanto concerne il pagamento del Tfr ai dipendenti pubblici, segnaliamo ai nostri lettori che è scattata in tutta Italia un’offensiva legale al fine di ristabilire una vera e propria equiparazione dei tempi di erogazione del Tfr tra lavoratori del pubblico e del privato. Tempi che, come abbiamo visto, sono molto differenti e tali da dar luogo ad una vera e propria discriminazione ai danni dei dipendenti pubblici, che pertanto avranno diritto di essere risarciti.

note

[1] Art. 2120 Cod. Civ.


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Attualità Giunta stanzia oltre 2 milioni di euro all’ASST di Lodi. Assessore Foroni: «Investimenti per rinnovare e valorizzare attrezzature e servizi»

http://www.lodiedintorni.com/giunta-stanzia-oltre-2-milioni-di-euro-allasst-di-lodi-assessore-foroni-investimenti-per-rinnovare-e-valorizzare-attrezzature-e-servizi/

 


Attualità

Giunta stanzia oltre 2 milioni di euro all’ASST di Lodi. Assessore Foroni: «Investimenti per rinnovare e valorizzare attrezzature e servizi»

 

Milano, 15 aprile. “Nel corso della seduta di Giunta di oggi abbiamo deliberato un importante stanziamento di risorse finanziare in favore dell’edilizia sanitaria regionale. Si tratta di fondi destinati a interventi di riqualificazione e rinnovamento per apparecchiature e per le strutture territoriali. Dei 103 milioni di euro complessivi, all’Ats Città di Milano sarà destinato il massimo valore che ammonta a oltre 26 milioni di euro, di cui 2.098.000 euro andranno all’ASST di Lodi. Elemento di particolare novità è che da quest’anno sarà avviato un attento monitoraggio di tutto il processo di programmazione, affinché gli investimenti raggiungano tutti gli obiettivi prefissati, con la massima efficacia dei servizi erogati in favore dei cittadini lodigiani e lombardi, finalizzati a un miglioramento della qualità di vita degli stessi”. Così dichiara l’Assessore al Territorio e Protezione Civile di Regione Lombardia Pietro Foroni a margine della seduta di Giunta di oggi, che aggiunge: “Non posso che ritenermi soddisfatto di quanto deliberato oggi. Questa è la seconda delibera in poco più di 10 giorni, dopo il dimezzamento dei ticket sanitari oggi destiniamo risorse ai territori. Intendiamo proseguire con vigore e determinazione il cammino intrapreso dalla nuova Giunta”.

Autovelox, taratura va indicata nel verbale

Autovelox, taratura va indicata nel verbale

 Cassazione Civile, sez. VI-2, ordinanza 06/03/2018 n° 5227

 La vicenda. Il Tribunale accoglieva l’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura avverso la sentenza resa da un Giudice di Pace che aveva rigettato l’opposizione proposta da un avvocato avverso un’ordinanza-ingiunzione.
Mediante siffatta ordinanza era stata infatti comminata al ricorrente la sanzione amministrativa di Euro 307,50, relativa ad un verbale di accertamento della Polizia Stradale con cui era stata contestata la violazione dei limiti di velocità rilevata mediante apparecchiatura autovelox. Nella specie, il Tribunale aveva ritenuto che le apparecchiature elettroniche di rilevazione dei limiti di velocità non dovessero essere sottoposte alle procedure di taratura. Per la cassazione della sentenza, l’avvocato proponeva ricorso.
La decisione. I giudici di Piazza Cavour hanno accolto i primo due motivi formulati dal legale ricorrente, cassando la pronuncia e rinviando al Tribunale in differente composizione, e ciò alla luce dell’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 45 C.d.S., comma VI, per contrasto con l’art. 3 Cost. della norma così come interpretata nel “diritto vivente”, in occasione della nota sentenza n. 113 del 2015. Pertanto, relativamente alla fattispecie esaminata, la taratura dell’apparecchiatura risultava necessaria e, solo a condizione che vi fosse stata espressa indicazione nel verbale dell’avvenuto adempimento, il rilevamento poteva presumersi affidabile, con conseguente onere dell’opponente di contestare la cattiva fabbricazione, installazione e/o funzionamento del dispositivo. Nella specie, la causa è stata rinviata al giudice d’appello, che dovrà accertare se fossero state effettuate le verifiche periodiche di funzionalità e di taratura.
Finalità della verifica periodica del velox. La Consulta nel 2015 rilevava che la mancanza di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura risulta suscettibile di pregiudicare l’affidabilità metrologica, e ciò a prescindere dalle modalità di impiego delle apparecchiature destinate a rilevare la velocità. Evidenziava infatti che ogni strumento di misura, specialmente se elettronico, risulta soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e, pertanto, a mutamenti dei valori misurati dovuti al declino delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Aggiungeva, inoltre, che l’obsolescenza ed il deterioramento possono pregiudicare non solamente l’affidabilità delle apparecchiature, bensì anche la fede pubblica che si ripone in un settore di notevole rilevanza sociale, come quello della sicurezza stradale. 
Il controllo di conformità rispetto alle prescrizioni tecniche garantisce che il funzionamento e la precisione nei rilevamenti siano contestuali al momento in cui la velocità viene rilevata, e che potrebbe essere distanziato in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura.
Rapporto tra la disciplina sull’utilizzo del velox ed il valore probatorio delle misurazioni. Nella stessa pronuncia del 2015 i giudici costituzionali evidenziarono il legame tra le norme che disciplinano l’utilizzo delle apparecchiature di misurazione ed il valore probatorio delle loro risultanze nei procedimenti sanzionatori inerenti alle trasgressioni dei limiti di velocità. L’art. 142, comma VI, C.d.S., prevede, più in dettaglio, che “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, (...) nonchè le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento”.
Irripetibilità dell’accertamento ed onore della prova. La riportata soluzione, prescelta dal legislatore stradale, si fonda sulla natura irripetibile dell’accertamento, realizzando in tal modo un bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle posizioni soggettive dei cittadini. I giudici ermellini ammettono che la tutela dei cittadini viene limitata per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, in quanto è colui che ricorre avverso l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura, ma al contempo siffatta limitazione trova una ragionevole spiegazione proprio nel carattere di affidabilità che l’omologazione e la taratura dell’autovelox conferiscono alle prestazioni di quest’ultimo. In altre parole, il bilanciamento degli interessi rappresentato all’art. 142 C.d.S. si manifesta in una sorta di presunzione, basata sull’affidabilità dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. La verifica costante di tale affidabilità rappresenta il fattore di contemperamento tra la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del soggetto sanzionato. Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche uniformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono mai eseguite.
La lettura costituzionale dell’art. 45 comma VI, C.d.S. Il collegio di legittimità, rammenta che la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 45, comma VI, nel senso interpretato dall’allora consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura.

(Altalex, 10 aprile 2018. Nota di Laura Biarella)

 

Canone RAI: ecco come si compila la dichiarazione per l’esenzione

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Canone RAI: ecco come si compila la dichiarazione per l’esenzione

Over 75 con reddito fino a 8.000 euro esenti dal pagamento del canone rai. Ecco come si compila la dichiarazione per l'esenzione

 

La legge finanziaria 2008 ha previsto l’abolizione del pagamento del canone di abbonamento alla televisione per uso privato per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni in possesso di determinati requisiti. Per l’anno 2018, il decreto 16.2.2018 del MEF di concerto con il MISE ha ampliato da euro 6.713,98 a euro 8.000,00 la soglia reddituale prevista per beneficiare dell’esenzione dal pagamento del canone TV. Per fruire dell’agevolazione, l’interessato deve presentare una dichiarazione sostitutiva con cui attesta la sussistenza delle condizioni e dei requisiti che danno diritto all’esenzione. In particolare, i requisiti per accedere al beneficio sono i seguenti:
  • aver compiuto 75 anni di età entro il termine per il pagamento del canone TV (31 gennaio e 31 luglio di ciascun anno). Si ha diritto all’esenzione dal pagamento del canone per l’intero anno di riferimento se il compimento del 75° anno di età avviene tra il 1° agosto dell’anno precedente ed entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, altrimenti si ha diritto all’esenzione dal pagamento del canone per il secondo semestre dell’anno di riferimento;
  • non convivere con altri soggetti, diversi dal coniuge, o dal soggetto unito civilmente, titolari di un reddito proprio;
  • possedere un reddito annuo che, unitamente a quello del proprio coniuge - o del soggetto unito civilmente - non sia complessivamente superiore a euro 6.713,98 (per le richieste di esenzione relative agli anni fino al 2017) oppure a euro 8.000,00 (per le richieste di esenzione relative all’anno 2018).
Attenzione: L’agevolazione non compete nel caso in cui l’apparecchio televisivo sia ubicato in luogo diverso da quello di residenza.
La dichiarazione sostitutiva attestante il possesso dei requisiti per fruire dell’agevolazione, può essere
  • spedita a mezzo del servizio postale in plico raccomandato, senza busta, al seguente indirizzo: Agenzia delle Entrate- Ufficio di Torino 1- Sportello abbonamenti Tv – Casella postale 22 - 10121 TORINO. La dichiarazione si considera presentata nella data di spedizione risultante dal timbro postale. In tal caso, alla dichiarazione sostitutiva va allegata copia di un valido documento di riconoscimento
  • trasmessa tramite posta elettronica certificata, purché la dichiarazione stessa sia firmata digitalmente da chi richiede l’esenzione.
  • consegnata dall’interessato presso un ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate.
Attenzione: I soggetti che hanno presentato la dichiarazione sostitutiva possono continuare a beneficiare dell’agevolazione nelle annualità successive, senza procedere alla presentazione di nuove dichiarazioni. La dichiarazione di variazione dei presupposti va invece compilata per comunicare il venir meno dei presupposti attestati in una precedente dichiarazione sostitutiva.

Per approfondire l'argomento scarica la Circolare del Giorno "Canone Rai: nuovo modello di esenzione per i 75 enni"
Per le novità, gli approfondimenti e i dubbi consulta il nostro Dossier Canone Rai in bolletta

Fonte: Fisco e Tasse

lunedì 16 aprile 2018

Tasse: quando vanno in prescrizione

https://www.laleggepertutti.it/200681_tasse-quando-vanno-in-prescrizione


Tasse: quando vanno in prescrizione 

  Tasse: quando vanno in prescrizione

La prescrizione dell’accertamento fiscale e della riscossione: i termini per gli avvisi e per la cartella di pagamento. Come funziona la prescrizione e la decadenza. Così ci si libera dall’obbligo di pagamento delle imposte.
Come liberarsi dalle tasse? Ovviamente pagando. Ma chi non può farlo, ha ugualmente più di una possibilità per farla franca. Certo, detta così, sembrerebbe una frase da “azzeccagarbugli” e invece è la stessa legge a individuare i casi in cui non si deve pagare. Non stiamo parlando quindi di elusione o, peggio, di frode ma dell’esercizio di un vero e proprio diritto. Ci riferiamo, in particolare, alla prescrizione delle tasse: quando lo Stato si “dimentica” di riscuoterle, per propria inefficienza o per qualsiasi altra ragione, e decorre un termine prestabilito dalla normativa (e che a breve indicheremo), il contribuente è definitivamente salvo. Né è necessario avviare una particolare procedura per far valere la prescrizione: si tratta infatti di un effetto automatico che si attua al semplice decorso del tempo. Potrebbe essere necessario un giudice e una causa apposita per accertare se davvero c’è stata prescrizione o meno, ma la sentenza non farà altro che accertare qualcosa che si è già compiuta, indipendentemente dalla volontà delle parti. Come quasi tutti i diritti, anche quello alla riscossione delle imposte cade in prescrizione. Lo Stato cioè ha un termine limitato per chiedere il pagamento dei tributi e se non lo fa non può che prendersela con sé stesso. Tale termine non è sempre uguale. Ecco perché è necessario chiarire, in modo semplice e schematico, quando le tasse vanno in prescrizione, così da avere sempre sotto controllo la possibilità di presentare ricorso contro richieste indebite azionate dall’erario, richieste che possono giungere con un avviso di accertamento o con una cartella esattoriale.

Cos’è la prescrizione delle tasse

La prescrizione delle tasse può intervenire in due fasi diverse: quella dell’accertamento e quella della riscossione. In particolare:
  • la prescrizione dell’accertamento fiscale fa sì che se l’amministrazione finanziaria (ad esempio l’Agenzia delle Entrate o, per i tributi locali, il Comune e la Regione) non richiede il pagamento dell’imposta entro un determinato periodo, non può più farlo. Il termine di prescrizione inizia a decorrere da quando la tassa doveva essere pagata dal contribuente che, invece, è rimasto moroso;
  • la prescrizione della riscossione esattoriale invece si compie in un momento successivo ossia quando, pur accertato nei termini il mancato pagamento del tributo da parte del contribuente e contestatogli regolarmente, l’Agente della riscossione poi non ha provveduto nei termini al recupero coattivo (con la notifica della cartella o con l’avvio del pignoramento).
Con una importantissima sentenza di fine 2016 [1], ponendo fine a una lunga diatriba giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Cassazione hanno detto che i termini di prescrizione sono gli stessi sia in sede di accertamento che in sede di riscossione. In altre parole, tanto per fare un esempio, se la prescrizione all’accertamento del bollo auto si prescrive in tre anni, anche la cartella esattoriale con la richiesta di tale tributo ha la medesima prescrizione. Se l’imposta sulla casa si prescrive in cinque anni, anche la corrispondente cartella cade in prescrizione dopo un quinquennio. Se il contribuente non impugna la cartella nei 60 giorni previsti dalla legge e quindi fa diventare definitiva la pretesa esattoriale, il termine di prescrizione resta sempre lo stesso di quello dell’accertamento.
In un solo caso il termine di prescrizione può variare: quando cioè il contribuente fa opposizione contro la richiesta di pagamento dell’imposta e perde la causa. In tal caso, infatti, cambia la fonte dell’obbligo di pagamento: non più la cartella ma la sentenza. Ebbene, per tutte le sentenze (tributarie o meno) il termine di prescrizione è sempre di 10 anni. Quindi, ad esempio, la richiesta di pagamento del bollo auto impugnata davanti alla Commissione Tributaria, si prescrive in 10 anni se il contribuente perde il ricorso.

Differenza tra prescrizione e decadenza

Attenzione a non confondere la prescrizione con la decadenza. La decadenza è il termine entro cui determinate attività dell’amministrazione finanziaria devono necessariamente intervenire. A differenza della prescrizione essa non può essere interrotta con un sollecito di pagamento: se l’attività non viene posta in essere, il tributo non può più essere riscosso. L’esempio tipico è il termine entro cui deve essere notificata la cartella esattoriale dalla data di iscrizione a ruolo del tributo. Di tanto abbiamo già parlato nell’articolo Cartella di pagamento: termini di prescrizione a cui si rinvia.
Se la tardività dell’accertamento causa la nullità dell’atto, gli atti successivi (esempio preavviso di fermo di beni mobili registrati), se sono notificati prima del decorso del termine prescrizionale, ne comportano invece l’interruzione, ed esso ricomincia a decorrere.

Quali sono i termini di prescrizione delle tasse?

Come abbiamo detto, i termini di prescrizione non sono uguali per tutte le tasse ma variano.
Ad esempio le imposte sui redditi come Irpef e Ires, nonché l’Iva e l’Irpa cadono in prescrizione dopo 10 anni [2].
Invece le sanzioni amministrative, che di solito sono collegate al mancato o tardivo pagamento delle tasse, la prescrizione è sempre di cinque anni [3].
Ad esempio, ipotizziamo un accertamento Iva sull’anno 2012, che va notificato entro il 31.12.2017. L’atto viene notificato il 22.12.2017, quindi la decadenza è rispettata.
Se non ci sono atti interruttivi, la prescrizione per le imposte spira il 20.2.2028 e per le sanzioni il 20.2.2023.
Per gli altri tributi, bisogna andare a verificare le singole leggi che ne hanno disciplinato la nascita se le stesse fanno riferimento a termini di prescrizione e/o di decadenza differenti.
Ad esempio, per quanto riguarda l’imposta di registro, per gli accertamenti e gli avvisi di liquidazione vigono termini di decadenza mentre la riscossione si prescrive in dieci anni. Lo stesso vale per l’imposta sulle successioni [4].
Per il bollo auto, la prescrizione è di tre anni che iniziano a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui il bollo è scaduto [5]. Ad esempio, il bollo da pagare nel 2017 si prescrive il 31 dicembre 2020.
Tutti i tributi locali, come Imu, Ici, Tasi, Tari, ecc. si prescrivono in cinque anni. In cinque anni si prescrivono anche i contributi consortili [6].
Sempre in cinque anni si prescrivono i crediti previdenziali di Inps e Inail.
TASSA
TERMINE DI PRESCRIZIONE
Iva 10 anni
Imposta di registro 10 anni
Irpef 10 anni
Ires 10 anni
Irap 10 anni
Iva 10 anni
Canone Rai 10 anni
Camera di commercio 10 anni (secondo alcune sentenze 5 anni)
Sanzioni tributarie 5 anni
Contributi previdenziali e assistenziali dovuti a Inps e Inail 5 anni
Imu 5 anni
Ici 5 anni
Tari 5 anni
Tarsu 5 anni
Contributi consortili 5 anni
Bollo auto 5 anni
Se un’intimazione di pagamento riguarda tasse tra loro differenti, oltre che sanzioni, la prescrizione opera in modo diverso a seconda della singola imposta; per cui potrebbe avvenire che, dopo alcuni anni, solo alcune di tali sono possono risultare prescritte mentre altre ancora non lo sono (si pensi a un’intimazione di pagamento per Imu e Irpef).
La prescrizione decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere, dunque dal giorno successivo a quello in cui il tributo o la sanzione avrebbe dovuto essere pagato.
Il versamento del debito prescritto eseguito in via spontanea, dunque non a seguito di ruolo per evitare gli atti esecutivi e cautelari, non può essere chiesto a rimborso.

Prescrizione rimborsi di imposte

Il contribuente, a livello generale, deve presentare domanda di rimborso entro i termini di decadenza indicati dalla singola legge; ma poi, nel momento in cui spirano novanta giorni da tale domanda senza che l’ente impositore abbia risposto, si forma il silenzio-rifiuto, e il ricorso andrà presentato entro la prescrizione di 10 anni o entro il diverso termine prescrizionale applicabile (se si tratta di tributi locali, la controparte potrebbe sostenere l’applicabilità della prescrizione dei cinque anni).
Tale termine, essendo prescrizionale, può essere interrotto.

Prescrizione degli interessi

In generale sugli interessi fiscali, una prima opinione ritiene operante la prescrizione di cinque anni a prescindere da quale sia il termine di prescrizione dell’imposta (quindi, ad esempio, per il mancato pagamento dell’Iva che si prescrive in 10 anni, gli interessi si prescrivono invece in cinque) [7]. C’è però anche un precedente della Cassazione secondo cui la prescrizione degli interessi delle tasse è di 10 anni [8]. 

Cosa sono gli atti interruttori della prescrizione?

Il termine di  prescrizione è interrotto da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore: per effetto dell’interruzione, il periodo di prescrizione inizia a decorrere nuovamente da capo, a partire dal giorno successivo all’atto interruttivo.
Ad esempio la notifica della cartella di pagamento o dell’accertamento esecutivo ove si intima il pagamento degli importi sono atti interruttori.
Ad esempio: un contribuente riceve un atto di accertamento imposte sui redditi, che non impugna. Tre anni dopo, viene notificata la comunicazione di ipoteca, con la quale si intima il pagamento degli importi dovuti. Detta comunicazione, avendo anche la funzione di messa in mora e non solo di preavviso di ipoteca, interrompe la prescrizione; pertanto, da quando è notificata, decorrono di nuovo 10 anni per le imposte e 5 anni per le sanzioni, termini che potranno nuovamente essere interrotti.
Anche il comportamento del contribuente può interrompere la prescrizione. Essa, in primo luogo, è interrotta dal ricorso in Commissione tributaria sino al momento in cui la sentenza diventa definitiva. Invece la richiesta di documentazione giustificativa del rimborso non interrompe la prescrizione.
Secondo la Cassazione [9], il pagamento parziale eseguiti in occasione della cartella esattoriale non interrompe la prescrizione.
Sempre secondo la Cassazione [10], la richiesta di dilazione del debito (o meglio detta rateazione) prima del ruolo non interrompe la prescrizione.

La prescrizione della cartella di pagamento

I termini di prescrizione delle tasse che abbiamo appena elencato valgono anche per le cartelle di pagamento dell’Agente della riscossione. Questo perché, come abbiamo precisato in apertura, la prescrizione resta sempre la stessa sia in sede di accertamento che di riscossione. Pertanto, se un contribuente riceve una cartella esattoriale per bollo auto e dopo quattro anni l’Esattore non procede ad avviare alcun procedimento, la cartella è caduta in prescrizione e il debitore è definitivamente libero.

note

[1] Cass. S.U. sent. n. 23397/2016.
[2] Art. 2946 cod. civ.
[3] Art. 20 co. 3 del DLgs. 472/97
[4] Art. 41 del DLgs. 346/90
[5] Art. 5 del DL 953/82. 
[6] Cass. 10.12.2014 n. 26013; Cass. 22.6.2017 n. 15580.
[7] Ctp Milano sent. n. 7362/41/16; Cass. sent. n. 17020/2014; n. 12715/2016; n. 5954/2007.
[8] Cass. sent. n. 18432/2005.
[9] Cass. 3.1.2018 n. 18, Cass. 27.3.2017 n. 7820.
[10] Cass. 29.12.2015 n. 26013, Cass. 26.4.2017 n. 10327.

Cass. 3.1.2018 n. 18
ORDINANZA
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, annullava l’intimazione di pagamento notificata in data 25.9.2011 da Riscossione Sicilia s.p.a. a Alfa s.r.l. e dichiarava insussistente il debito contributivo, fermi restando i pagamenti parziali già eseguiti, essendo il credito avente ad oggetto le residue somme portate nella cartella di pagamento non opposta estinto per effetto di intervenuta prescrizione quinquennale;
2. Per la Cassazione della sentenza ricorre l’INPS, in proprio e per S.C.C.I. s.p.a., che con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2944 del codice civile e lamenta che la Corte territoriale non abbia ritenuto atti interruttivi della prescrizione i pagamenti parziali dei debiti portati nella cartella esattoriale in questione, eseguiti dalla società prima della maturazione del quinquennio;
2.1. Come secondo motivo, contesta l’applicazione della prescrizione quinquennale ai crediti azionati con le cartelle esattoriali non opposte, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995 in relazione all’art. 2953 c.c.;
3. Alfa s.r.l. e Riscossione Sicilia s.p.a. sono rimasti intimati. L’INPS ha depositato anche memoria ex art. 380-bis comma 2 c.p.c.;
4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Considerato che:
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha ancora di recente ribadito che il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere come riconoscimento, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di flutto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. n. 7820 del 27.3.2017, n. 3371 del 12.2.2010).
1.1. Nel caso, la Corte territoriale ha argomentato che i pagamenti parziali non potevano ritenersi ricognizione chiara e specifica del diritto altrui, considerato che potevano essere anche giustificati dallo stato di cogenza derivante dalla notifica della cartella esattoriale, che può dare origine all’esecuzione forzata per il caso di inadempimento.
Né risultavano prospettate particolari modalità che potessero implicare la volontà di riconoscere la persistenza del debito contributivo.
1.2. Il motivo chiede pertanto un riesame del merito delle conclusioni cui è giunta la Corte territoriale, che questa Corte non può compiere, esorbitando dai limiti del giudizio di legittimità quali delineati dall’art. 360 n. 5 c.p.c. Né inducono di diverso avviso le considerazioni formulate dall’INPS nella memoria, considerato che ivi si ribadisce il valore univoco del comportamento del debitore, che dopo la notifica delle cartelle ha eseguito otto pagamenti parziali a distanza di tempo ravvicinata, e quindi si chiede una diversa valutazione degli stessi fatti cui la Corte territoriale ha attribuito diverso significato;
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23397 del 17.11.2016 che, con riferimento a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ha chiarito che la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo;
3. dovendosi dare seguito a tale condivisibile orientamento, la soluzione adottata dalla Corte territoriale risulta corretta e conforme a diritto;
4. Ritiene quindi il Collegio, in coerenza con la proposta del relatore, che il ricorso vada rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, c.p.c.;
5. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate;
6. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del DLgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
LALEGGEPERTUTTI.IT (tratto dal sito)