venerdì 10 agosto 2018

Sport dilettantistico: le agevolazioni fiscali

Sport dilettantistico: le agevolazioni fiscali

 https://www.pmi.it/impresa/contabilita-e-fisco/275973/sport-dilettantistico-le-agevolazioni-fiscali.html#_=_

di Redazione PMI.it
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Sport dilettantistico: i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate sulle agevolazioni fiscali previste per gli enti sportivi dilettantistici senza fini di lucro
Con la a Circolare n. 18/E/2018, l’Agenzia delle Entrate, in risposta ai dubbi delle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, di cui all’art. 90, Legge n. 289/2002, esposti nel corso del tavolo tecnico congiunto insieme al Coni, ha fornito chiarimenti in merito al riconoscimento delle agevolazioni fiscali, individuando le attività commerciali che rientrano nel regime forfetario e le attività accessorie a quelle sportive che beneficiano delle agevolazioni e precisando le ipotesi di esclusione della decadenza dai benefici.

Le Entrate si soffermano in particolare su:
  • la disciplina giuridica e la qualificazione tributaria delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro;
  • il regime fiscale agevolato di cui alla Legge n. 398/1991 e relative questioni connesse all’ambito di applicazione;
  • l’agevolazione di cui all’art. 148, comma 3, TUIR e relative questioni riguardanti l’ambito di applicazione;
  • gli effetti della riforma del Terzo Settore sull’applicabilità sia del regime fiscale di cui alla Legge n. 398/1991, sia dell’agevolazione di cui all’art. 148, comma 3, TUIR;
  • l’esenzione dall’imposta di bollo.

Uscita dal regime agevolato

Le Entrate rassicurano:
Nessun rischio di uscita dal regime agevolato previsto dalla legge n. 398/1991 per le associazioni e le società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che non hanno presentato la comunicazione obbligatoria alla Siae ma hanno attuato un comportamento concludente e hanno comunicato all’Agenzia delle Entrate di volersi avvalere dell’agevolazione.

Attività commerciali


Le attività commerciali che rientrano nel regime forfetario previsto dalla legge n. 398/1991 sono solo quelle “connesse agli scopi istituzionali” dell’associazione o società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro. Sono escluse dal regime le cessioni di beni o la prestazione di servizi effettuate adottando forme organizzative tali da creare concorrenza con gli altri operatori di mercato.

Cessione di atleti

Le cessioni verso corrispettivo di atleti rientrano nel regime agevolato previsto dall’art. 148, comma 3, del Tuir se svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali tra associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che fanno parte di un’unica Federazione Sportiva. Si applicano invece le regole generali di tassazione nei casi in cui:
  • il trasferimento sia meramente speculativo;
  • la destinataria non sia un’altra associazione o società sportiva dilettantistica senza fini di lucro affiliata alla stessa Federazione Sportiva della cedente.

Pagamenti oltre i 1.000 euro

In caso di quote di iscrizione a corsi o di tesseramento incassate in contanti, con un versamento cumulativo di importo pari o superiore ai 1.000 euro, l’ente dovrà, per rispettare l’obbligo di tracciabilità, rilasciare una quietanza per ogni singola quota di iscrizione, conservarne una copia e annotare in un registro i dati relativi ai soggetti che hanno effettuato i versamenti, gli importi incassati e gli importi pagati.

Sport equestri


L’Agenzia chiarisce inoltre che, ferma restando la necessità di una valutazione caso per caso del contenuto degli accordi tra l’associazione sportiva e l’associato/socio o il tesserato, la custodia di attrezzature o il ricovero di animali svolti dall’associazione o dalla società sportiva dilettantistica senza fini di lucro possono essere considerati attività rientranti tra quelle rese in diretta attuazione degli scopi istituzionali e quindi agevolabili ai sensi dell’articolo 148, comma 3, del Tuir. Il tutto a condizione che vi sia l’effettivo utilizzo dell’attrezzatura, del bene o dell’animale nella pratica sportiva dilettantistica nonché la loro identificazione come idonei alla pratica sportiva da parte della Federazione Sportiva Nazionale di appartenenza. Nel caso degli sport equestri, ad esempio, i cavalli utilizzati a fini sportivi sono regolarmente tesserati presso la Federazione Italiana Sport Equestri (FISE).
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giovedì 9 agosto 2018

Nuova guida ATEM gas -- regione lombardia gare di ambito lodi2

Nuova guida ATEM gas
http://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioAvviso/servizi-e-informazioni/enti-e-operatori/ambiente-ed-energia/energia/pubblicata-la-nuova.guida-atem-gas/pubblicata-la-nuova.guida-atem-gas



regione lombardia


Nuova guida ATEM gas
Pubblicata la nuova versione della guida pratica ATEM Gas che supporta gli enti locali nel percorso di indizione della gara d’ambito. La guida è stata aggiornata con le ultime novità normative.
Avviso informativo

Pubblicata la nuova guida ATEM gas

  • Rivolto a: Enti e operatori

E’ stata pubblicata la nuova versione della Guida Pratica ATEM Gas, destinata a supportare gli Enti Locali nel percorso di indizione della gara d’ambito. La Guida è stata aggiornata con le ultime novità normative.

Fondo Sociale Regionale 2018 -- regione lombardia in aiuto alle famiglie per un welfare moderno!

Fondo Sociale Regionale 2018
La Giunta Regionale ha stanziato 54 milioni di euro per finanziare servizi e interventi a sostegno di anziani, minori, famiglie e disabili in difficoltà. Destinatari delle risorse sono gli Ambiti Territoriali dei Comuni e gli Enti gestori pubblici e privati.
Fondo sociale regionale 2018http://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/DettaglioRedazionale/servizi-e-informazioni/Enti-e-Operatori/sistema-sociale-regionale/fondo-sociale-regionale-2018
link web : 

Assunzioni scuola 2018, come fare: istruzioni operative del Miur Da Redazione 8 agosto 2018

Assunzioni scuola 2018, come fare: istruzioni operative del Miur

Erano state annunciate dal Ministro dell’istruzione Marco Bussetti e da un decreto che ha stabilito i posti riservati alle assunzioni scuola 2018/2019. Sono ben 57.322 quelle previsti per le assunzioni in ruolo del personale docente della scuola d’infanzia, primaria e secondaria, per il prossimo anno scolastico (43.993 posti comuni, nonché 13.329 posti di sostegno).
Scarica qui il Decreto del Miur
Con una Nota il Miur ha comunicato ai vari Uffici scolastici regionali come devono queste assunzioni (le nomine in ruolo e le assunzioni al terzo anno Fit): le modalità operative per le assegnazioni, le rinunce, le riserve e i controlli.
Scarica qui l’Allegato A con le modalità operative
Analizziamo in dettaglio queste istruzioni operative, per capire meglio l’iter che porterà all’assegnazione del ruolo.

Assunzioni scuola 2018: quanti posti

Come anticipato il contingente previsto dal decreto è di 57.322 unità docenti: 43.993 docenti comuni e 13.329 posti di sostegno. È stato distribuito per classe di concorso e posto di insegnamento, in seguito all’effettuazione, per i posti vacanti e disponibili della la scuola secondaria, l’assorbimento dell’esubero.
Assunzioni scuola 2018: compensazione con altre graduatorie
Il Miur specifica che qualora siano venuti meno i posti previsti in organico o qualora le assunzioni non possano essere effettuate per tutti i posti in organico, è possibile destinare tali eccedenze a favore di altre graduatorie, avendo riguardo alla tipologia del posto di cui trattasi. Tale compensazione tra le classi di concorso dovrà avvenire, in relazione alle esigenze accertate in sede locale, con particolare riguardo agli insegnamenti per i quali sia accertata la disponibilità del posto.

Assunzioni scuola 2018: scorrimento graduatorie

Lo scorrimento di ciascuna graduatoria di merito regionale avviene nel limite del 50% dei posti del contingente assegnato e dopo l’esaurimento del concorso bandito ai sensi del comma 114 della Legge 107/2015, compresi coloro che hanno raggiunto il punteggio minimo previsto dal bando o se il concorso stesso non sia stato bandito.
Quindi, le assunzioni per l’anno 2018/2019 avverranno per il 50% dalle graduatorie dei concorsi e per il 50% dalle Graduatorie ad esaurimento ripubblicate per l’a.s. 2018/19.

Assunzioni scuola 2018: le ammissioni al Fit

Per le ammissioni al percorso di formazione (Terzo anno FIT), le graduatorie valide sono quelle relative al concorso per esami e titoli bandito con il DDG n. 85 del 1° febbraio 2018 (il Concorso 2018) e pubblicate entro e non oltre il 31 agosto 2018. Di conseguenza, le procedure concorsuali che non saranno completate entro tale data , avranno validità dall’anno scolastico 2019/20.

Assunzioni scuola 2018: le convocazioni dei docenti

Una volta che gli Uffici scolastici regionali avranno ripartito il contingente loro assegnato tra nomine da procedure concorsuali (Concorsi 2016 e 2018) e nomine da Gae, gli stessi provvederanno alle convocazioni dei docenti inclusi in posizione utile di graduatoria.
I docenti provenienti dalle procedure concorsuali avranno la priorità nella scelta dell’ambito e delle sedi.
Le operazioni si svolgeranno con le seguenti modalità. Dopo aver ripartito il contingente tra procedure concorsuali e Gae, si procederà in quest’ordine:
  • GM 2016 (vincitori, idonei (10%) nonché i candidati che hanno superato con il minimo le prove concorsuali. A tali candidati verrà assegnata la provincia, l’ ambito e, laddove possibile, contestualmente sceglieranno la sede di servizio
  • Nel caso di ulteriori disponibilità entro la quota del contingente destinata ai concorsi, si procederà alle ammissioni al terzo anno del percorso FIT. In tal caso i candidati delle GMRE sceglieranno la provincia e la sede in cui svolgeranno il terzo anno del percorso FIT.
  • Successivamente si procederà alle nomine da Gae, assegnando l’ambito e, laddove possibile, contestualmente la sede di servizio.

Assunzioni scuola 2018: accettazione e rinuncia

L’accettazione o la rinuncia, riferita al medesimo anno scolastico, di una proposta di assunzione a tempo indeterminato su posto di sostegno consentono di accettare nello stesso anno scolastico e nella stessa provincia/regione (GaE/Concorso) successiva proposta per altri insegnamenti di posto comune sulla base della medesima o altra graduatoria.
L’accettazione di una proposta di assunzione a tempo indeterminato in una provincia consente, nello stesso anno scolastico, di accettare un’ altra proposta a tempo indeterminato per altra classe di concorso, posto o per una diversa tipologia di posto (posto comune/sostegno), anche nella stessa provincia/regione solamente in caso di immissione in ruolo da altro tipo di graduatoria, di merito o ad esaurimento (es. presenza di candidati iscritti in G.A.E. di una provincia e nella graduatoria di merito di altra regione).
E’ consentita l’accettazione di un’eventuale altra proposta di assunzione a tempo indeterminato anche per lo stesso insegnamento o tipologia di posto (posto comune/sostegno) in un ambito territoriale di diversa provincia solamente in caso di immissione in ruolo da diversa graduatoria, di merito o ad esaurimento (presenza di candidati iscritti in G.A.E. di una provincia e nella graduatoria di merito di altra regione).

Assegnazione al terzo anno FIT di docenti precari

L’ammissione al corso Fit fa si che i docenti non di ruolo (precari) vengano depennati da tutte le graduatorie di merito regionali, nonché da tutte le graduatorie ad esaurimento e di istituto, in cui è iscritto sia per la stessa, che per altra clc/tipo posto.

Assegnazione al terzo anno FIT di docenti di ruolo

Nel caso la nomina avvenga per altra classe di concorso o anche per i relativi posti di sostegno, rispetto a quella in cui risulta titolare trova applicazione l’art. 36 del CCNL del 2006/2009, così come previsto dal CCNL del 2016/18, attualmente in vigore. Nel caso, invece, che il docente venga assegnato sulla stessa clc /tipo posto su cui è già titolare, l’accettazione dell’assegnazione comporta la decadenza dal precedente impiego, così come previsto dall’art. 2, comma 4 del vigente Regolamento supplenze docenti.
Potrebbe interessarti anche la sezione Concorsi di LeggiOggi

fonte:  https://www.leggioggi.it/2018/08/08/assunzioni-scuola-2018-come-fare-istruzioni-operative/?utm_term=133087+-+Assunzioni+scuola+2018%2C+come+fare%3A+istruzioni+Miur&acc=33e75ff09dd601bbe69f351039152189&utm_campaign=NEWSLETTER+Leggi+Oggi+-+Newsletter+n.30+-++2018-08-09&utm_medium=email&utm_source=MagNews&utm_content=25282+-+Newsletter+n.30+%282018-08-09%29

mercoledì 8 agosto 2018

Decreto Milleproroghe, sospensione mutuo ancora fino al 2020

Decreto Milleproroghe, sospensione mutuo ancora fino al 2020

 https://www.idealista.it/news/finanza/mutui/2018/08/07/126931-sospendere-la-rata-del-mutuo-con-il-decreto-milleproroghe-e-possibile-ancora-fino-al-2020

 

Sospensione del pagamento della quota capitale dei mutui prorogata fino al 2020. Nel decreto Milleproroghe è contenuta una norma in materia di mutui che consente di allungare il periodo di ammortamento dei finanziamenti per famiglie e piccole e medie imprese, consentendo di usufruire delle misure di sospensione del pagamento delle rate ancora per un biennio.
Grazie ad un accordo tra Tesoro e Ministero dello sviluppo economico, Abi (l’associazione delle banche italiane) e le associazioni dei rappresentanti di imprese e consumatori, è stata prorogata la convenzione che consente, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, di mantenere in essere le misure di sospensione dei pagamenti delle rate del mutuo, in caso di difficoltà, per quanto riguarda la quota capitale (ma non della quota interessi, che continuerà così a maturare anche in ragione della maggiore durata del periodo di ammortamento) per gli anni dal 2018 al 2020.
Il periodo di sospensione delle rate, come previsto, potrà protrarsi per un massimo di 12 mesi e potrà essere richiesto alle banche che aderiscono alla convenzione in presenza di alcune condizioni, tra cui l’essere incorsi, durante gli ultimi due anni, in perdita del lavoro o riduzione di orario per un periodo di almeno 30 giorni.
Il decreto Milleproroghe, approvato in Senato, a fine mese approderà alla Camera per la sua approvazione definitiva.


Come fare causa all’Inps

Come fare causa all’Inps 

 Come fare causa all’Inps

 

Pensione bassa, contributi non dovuti, domanda di pensione o disoccupazione respinta, indennità calcolata male: come contestare i provvedimenti dell’Inps.
La pensione per la quale hai versato tanti anni di sudati contributi è molto più bassa rispetto a quanto ti aspettavi? Oppure sei sicuro di aver tutti i requisiti per la pensione, l’Ape sociale, la disoccupazione Naspi, eppure la tua domanda è stata respinta? L’indennità di disoccupazione Naspi è inferiore a quella che ti spetta? O, ancora, l’Inps ti ha chiesto di versare dei contributi non dovuti? In tutti questi casi puoi impugnare i provvedimenti dell’Inps, dapprima con un ricorso amministrativo, poi con una causa giudiziale. Facciamo allora il punto della situazione su quando e come far causa all’Inps, come e con quali modalità presentare il ricorso.

Quando si deve fare il ricorso all’Inps?

La prima cosa da fare, quando si riscontra un errore dell’Inps, è intraprendere un ricorso amministrativo, che viene deciso da un organo dello stesso istituto (solitamente dal Comitato provinciale amministratore del fondo Inps a cui si è iscritti, anche se la competenza dipende dal tipo di prestazione e dal fondo di iscrizione).
Il ricorso amministrativo preliminare è una condizione necessaria per procedere, successivamente, alla causa contro l’Inps, se l’azione è di accertamento negativo o riguarda le prestazioni previdenziali (in quest’ultimo caso, in particolare, il ricorso amministrativo è una condizione di ammissibilità).
In pratica, il ricorrente può rivolgersi al giudice quando:
  • è stato concluso il ricorso amministrativo con una decisione dell’Inps, ovviamente, negativa;
  • sono decorsi i termini del procedimento amministrativo senza che l’Inps si sia pronunciata;
  • sono decorsi 90 giorni dalla data di proposizione del ricorso amministrativo, se non è previsto alcun termine per la decisione: in questo caso si realizza il cosiddetto silenzio-rigetto ed è consentito il ricorso giurisdizionale.
Se il ricorrente inizia l’azione giudiziaria prima del verificarsi delle ipotesi elencate, il giudice rileva l’improcedibilità della domanda nella prima udienza di discussione della causa.

Quando non è necessario fare il ricorso all’Inps?

Ci sono, però, dei casi in cui non è necessario effettuare il ricorso amministrativo per poter in andare in causa:
  • quando il ricorrente domanda un provvedimento d’urgenza [1] (nel caso in cui il diritto fatto valere sia minacciato da un pregiudizio grave, imminente ed irreparabile);
  • quando la domanda è relativa a un giudizio già instaurato dalla pubblica amministrazione, senza che l’interessato abbia ricevuto alcuna preventiva comunicazione dell’atto da impugnare;
  • nei procedimenti di opposizione alle cartelle di pagamento;
  • quando la controversia verte solo sull’interpretazione di una disposizione di legge;
  • quando si rilevano meri errori di calcolo nella determinazione delle prestazioni previdenziali; in questa ipotesi è comunque possibile presentare un’istanza all’Inps in autotutela, ferma restando la possibilità di proporre l’azione giudiziale.

A chi va inviato il ricorso amministrativo Inps?

ll ricorso contro i provvedimenti dell’Inps deve essere diretto allo specifico organo, centrale o periferico, competente a decidere la controversia: ad esempio, per contestazioni che riguardano i contributi dei lavoratori dipendenti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti, il ricorso va fatto al comitato amministratore del fondo.
Per inviare il ricorso amministrativo, ad ogni modo, il canale è unico; questo, infatti, può essere inviato:
  • per i cittadini in possesso di pin dell’Inps, di carta nazionale dei servizi o di identità unica digitale Spid, dal sito dell’Istituto, sezione Servizi per il cittadino, Ricorsi online;
  • tramite un patronato o un intermediario dell’istituto (ad esempio, un consulente del lavoro).

Quando si deve inviare il ricorso all’Inps?

Il ricorso deve essere inoltrato all’Inps entro 90 giorni, che decorrono:
  • da quando è stato ricevuto l’atto amministrativo da impugnare: la data risulta dal timbro apposto dall’ufficio postale sull’avviso di ricevimento (se si tratta di una raccomandata);
  • dal 121° giorno successivo a quello di presentazione della relativa domanda, se si tratta di un’ipotesi di silenzio rigetto.
La data di presentazione del ricorso risulta inequivocabilmente dalla ricevuta che viene automaticamente rilasciata alla fine della procedura telematica.

Quali sono gli effetti del ricorso all’Inps?

La presentazione del ricorso interrompe il termine di prescrizione del diritto reclamato e sospende eventuali provvedimenti che implicano l’annullamento del rapporto assicurativo, mentre non sospende l’esecutorietà dell’atto amministrativo impugnato, quando questo ha ad oggetto:
  • le prestazioni;
  • i contributi alle gestioni dei lavoratori autonomi;
  • la classificazione dei datori di lavoro.
In caso di rigetto, o di mancata risposta, deve allora essere effettuato un ricorso alla Corte dei Conti: il termine di decadenza è ora triennale, non più di 5 anni.

Quando si può far causa all’Inps?

Nel caso in cui l’esito del ricorso amministrativo sia negativo o vi sia stato silenzio-rigetto, oppure nei casi in cui la fase amministrativa non sia necessaria, come già esposto è possibile far causa all’Inps.
Il ricorso giudiziale, in particolare, deve essere inoltrato:
  • al Giudice previdenziale (si tratta del Tribunale in funzione di giudice unico di primo grado del lavoro, che applica il rito del lavoro con alcune particolarità collegate alla specialità della materia), per le controversie in materia di:
    • assicurazioni sociali a favore di lavoratori dipendenti e di lavoratori autonomi e professionisti (incluse le casse professionali);
    • infortuni sul lavoro e malattie professionali;
    • assegni per il nucleo familiare e assegni familiari;
    • qualsiasi prestazione di previdenza ed assistenza obbligatoria (ad esempio disoccupazione, mobilità o maternità);
    • inosservanza degli obblighi del datore di lavoro di assistenza e previdenza derivanti da contratti e accordi collettivi;
    • risarcimento danni per errore dell’Inps nella comunicazione delle informazioni sulla posizione contributiva: è il caso in cui il dipendente viene indotto a dimettersi prima della maturazione del diritto alla pensione a causa di informazioni sbagliate dell’Inps;
    • costituzione forzosa di una rendita vitalizia (per mancato pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro);
  • alla Corte dei conti, per le controversie in materia di:
    • pensioni;
    • assegni o indennità civili, militari o di guerra;
  • al Tribunale ordinario, per le controversie in materia di previdenza complementare;
  • al Giudice di Pace, per le controversie in materia di interessi e accessori;
  • al Tar, per le controversie in materia di interessi legittimi.

Si può ottenere una pensione più alta senza far causa all’Inps?

Se si verifica un fatto sopravvenuto, come l’acquisizione tardiva di contributi, l’accredito tardivo di uno stipendio, l’acquisizione del diritto a una maggiorazione nel calcolo, o, ancora, se dopo la pensione ti sono riconosciuti dei contributi figurativi o da riscatto, non hai bisogno di far causa all’Inps, ma puoi chiedere la ricostituzione della pensione. Puoi richiedere la ricostituzione anche se cambia la tua condizione di reddito (nel caso in cui la pensione liquidata dall’Inps sia legata al reddito): in questo caso devi chiedere la ricostituzione reddituale.
La ricostituzione della pensione può essere attivata anche su iniziativa dell’Inps, quando i contributi sono accreditati d’ufficio dopo la liquidazione della prestazione.
La domanda di ricostituzione non ha un termine di decadenza, quindi puoi inviare la domanda quando vuoi, ma devi tenere presente che i ratei arretrati sono soggetti a un termine di prescrizione.
La ricostituzione può dar luogo anche a una riliquidazione in negativo, ad esempio se vengono annullati dei contributi.
Per approfondire: Pensione bassa, come rimediare.

note

[1] Art.13, L. 412/91.
[2] Inps Circ. n. 31/2006.
[3] C. Cost. sent. n. 166/1996.

fonte:  https://www.laleggepertutti.it/229936_come-fare-causa-allinps

L’AUTORE:

 
 
 
 

Tari: come pagare il giusto


Tari: come pagare il giusto


https://www.laleggepertutti.it/229821_tari-come-pagare-il-giusto


 
 
Cosa controllare sull’avviso di pagamento, quali possono essere gli errori e cosa fare se l’importo della tassa rifiuti è sbagliato.
Quel che è dovuto è dovuto. Ma quel che si può evitare, perché pagarlo? Oltretutto, visto che già di tasse ne versiamo fin troppe, non è il caso di regalare al Comune dei soldi per una Tari con l’importo sbagliato. Come pagare il giusto di tassa sui rifiuti? Sapendo quando spetta versarla, quando c’è l’esonero, come viene calcolata e che cosa fare nel caso in cui ci arrivi il conto errato.
I parametri fondamentali per sapere quanto si deve pagare di Tari sono due: la superficie ed il numero di persone che vivono in quella casa. Quindi conta quanto è grande l’immobile ma anche la composizione del nucleo familiare. Questo per rispettare un vecchio principio (voluto anche dall’Europa) secondo cui chi produce più rifiuti deve pagare di più. Forse chi ha avuto questa intuizione ha dimenticato di inserirci la parola «potenzialmente». Non è dimostrabile, infatti, che tre persone con un certo comportamento abbiano il secchio della spazzatura più pieno rispetto a chi vive da solo ed ha un altro tipo di atteggiamento. Il single che, ad esempio, è abituato a comprare del cibo confezionato produrrà più rifiuti di carta e di plastica rispetto alla famiglia che compra la carne dal macellaio, il pesce dal pescivendolo e la frutta e la verdura sciolte e si cucina tutto a casa riducendo l’immondizia al minimo possibile. Non è dimostrabile, dicevamo. Ma è ipotizzabile e, pertanto, appunto, possibile. Resta da capire come adempiere all’obbligo di pagare la Tari e come versare quello che è giusto, senza aggiungere «mance» al Comune. Vediamo la procedura ed i parametri giusti per il calcolo della tassa sui rifiuti.

Tari: l’obbligo di dichiarazione

La legge impone ai cittadini di presentare al Comune una dichiarazione di inizio occupazione dei locali. Significa, per quanto riguarda le abitazioni, che bisogna dire in Municipio che stai vivendo in quell’appartamento. Di norma, la comunicazione deve essere fatta entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si occupano di fatto i locali. Se, ad esempio, vado a vivere nella mia nuova casa a febbraio 2019, dovrà presentare in Comune la dichiarazione di inizio occupazione entro il 30 giugno 2020. Attenzione, però: alcuni enti locali hanno disposto delle date diverse, quindi è sempre meglio informarsi presso il proprio Municipio.
C’è anche da dire che non sempre questa comunicazione è obbligatoria. Succede spesso, infatti, che l’inizio occupazione dei locali venga fatta coincidere «in automatico» con il trasferimento da un Comune ad un altro e l’iscrizione all’ufficio anagrafe del Municipio in cui si va a risiedere. A quel punto, l’anagrafe chiede di rilasciare all’ufficio tributi del Comune i dati per pagare le tasse come la Tari.
Se ci sono dei cambiamenti che riguardano la composizione del nucleo familiare, non vanno dichiarate all’anagrafe, in quanto il Comune è in grado di ricavare il dato direttamente da questo ufficio. Ciò che bisognerà comunicare successivamente, sempre entro il 30 giugno dell’anno successivo o entro la data fissata dal singolo ente locale, saranno eventuali modifiche della superficie dell’immobile (mettiamo il caso di una ristrutturazione in cui «si allarga» la casa con qualche locale in più) e della destinazione d’uso. La mancata comunicazione comporta una sanzione dal 50% al 200% della tassa sui rifiuti non versata.
Ovviamente, il cittadino è tenuto a far sapere al Comune dell’eventuale abbandono dell’immobile: solo così potrà evitare di pagare la Tari per una casa in cui non abita più.

Tari: se non occupo una casa devo pagare?

Immagina di avere una seconda casa e di decidere di trasferirti per un periodo di tempo, magari per motivi di lavoro o perché hai un’attività di telelavoro e hai voglia di cambiare aria, tanto ti basta una connessione ad Internet e puoi svolgerla dove ti pare. L’abitazione che occupi normalmente resta, dunque, vuota per un tot di mesi. Devi pagare la Tari?
Intanto devi stare attento a non confonderti le idee. Una cosa è un immobile non occupato e un’altra ben diversa è l’immobile non occupabile. Qual è la differenza? Il primo avrà tutte le utenze (luce, gas, acqua) e puoi decidere di riutilizzarlo in qualsiasi momento. Il secondo, invece, cioè quello non occupabile, è quello che non ha le utenze né le condizioni per abitarci (non ci sono acqua, luce e gas, non c’è l’arredamento).
Il contribuente è esonerato dal pagamento della Tari sono in quest’ultima ipotesi, cioè quando l’immobile non è occupabile perché hai tolto le utenze e ti sei portato via i mobili. Hai fatto un trasloco, insomma, e hai chiuso definitivamente i rubinetti delle forniture. Ma attenzione: bisogna comunicarlo al Comune, il quale non può occuparsi anche di verificare se ci sei o non ci sei. La comunicazione dovrà attestare l’interruzione delle utenze (almeno quella della luce) e la mancanza di arredi. Non raccontare bugie per cercare di non pagare la tassa rifiuti: il Comune ha il diritto di verificare se la tua comunicazione risponde alla verità oppure se stai cercando di fare il furbo.

Tari: cosa controllare per pagare il giusto

Quando arriva l’avviso di pagamento della Tari, per pagare il giusto bisogna controllare innanzitutto la superficie riportata. Quella, cioè, sulla base della quale è stato stabilito l’importo della tassa rifiuti da pagare. Il Comune deve attenersi alla superficie calpestabile o catastale.
Per quanto riguarda la superficie calpestabile, è possibile verificarla sulla base della planimetria della casa. Sulla superficie catastale, invece, bisogna ricordare che la regola dell’80% tassabile vale solo in mancanza dell’indicazione sulla superficie calpestabile. Ad ogni modo, è possibile recuperare quel dato attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione «consultazione rendite catastali», anche se per gli immobili di categoria A, cioè le abitazioni, si trova solo il numero dei vani della casa.
Resta di fatto che se salta all’occhio un errore madornale (ad esempio vedersi chiedere di pagare la Tari per un appartamento di 140 mq quando si sa che si vive in uno di circa 90 mq) non conviene pagare. Piuttosto, si va in Comune e si chiedono dei chiarimenti attraverso un ricalcolo del tributo in base alla reale superficie da tassare. Ciò allo scopo di pagare il giusto e basta.
Altri errori che si possono rilevare sull’avviso di pagamento della tassa rifiuti riguardano il numero degli occupanti dell’immobile e le quote (fissa e variabile) che determinano l’importo della Tari. L’occhio deve cadere in particolare sulla quota variabile, che deve riguardare soltanto la casa e non le pertinenze che non esistono ma che il Comune può ritenere tali.
Sulle seconde case, invece, c’è da verificare se la tariffa viene calcolata in base al numero presunto di occupanti dell’immobile e se si può fare riferimento ai membri del nucleo familiare del luogo di residenza.

Tari: cosa fare se ci sono degli errori

Se controllando l’avviso di pagamento della Tari hai riscontrato degli errori, non ti conviene andare a bussare subito in Tribunale. Piuttosto, conviene andare in Comune a chiedere dei chiarimenti presentando un’istanza in autotutela. Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica di accertamento che arriva dal Comune quando il contribuente non ha rispettato l’avviso di pagamento (anche se la procedura di accertamento può cambiare a seconda del Comune). L’istanza in autotutela non esclude la successiva presentazione del ricorso alla Commissione tributaria.
La richiesta di ricalcolo va effettuata quando l’errore rilevato riguarda, appunto, il calcolo dell’importo (ad esempio, la quota fissa o variabile sbagliata). Ma se quello riscontrato è un errore generato da un’interpretazione non giusta della legge (si tratterebbe di un errore di diritto), le soluzioni sono:
  • impugnare l’avviso di pagamento;
  • non pagare e attendere l’avviso di accertamento per impugnarlo entro e non oltre 60 giorni dalla notifica.

 
Cosa controllare sull’avviso di pagamento, quali possono essere gli errori e cosa fare se l’importo della tassa rifiuti è sbagliato.
Quel che è dovuto è dovuto. Ma quel che si può evitare, perché pagarlo? Oltretutto, visto che già di tasse ne versiamo fin troppe, non è il caso di regalare al Comune dei soldi per una Tari con l’importo sbagliato. Come pagare il giusto di tassa sui rifiuti? Sapendo quando spetta versarla, quando c’è l’esonero, come viene calcolata e che cosa fare nel caso in cui ci arrivi il conto errato.
I parametri fondamentali per sapere quanto si deve pagare di Tari sono due: la superficie ed il numero di persone che vivono in quella casa. Quindi conta quanto è grande l’immobile ma anche la composizione del nucleo familiare. Questo per rispettare un vecchio principio (voluto anche dall’Europa) secondo cui chi produce più rifiuti deve pagare di più. Forse chi ha avuto questa intuizione ha dimenticato di inserirci la parola «potenzialmente». Non è dimostrabile, infatti, che tre persone con un certo comportamento abbiano il secchio della spazzatura più pieno rispetto a chi vive da solo ed ha un altro tipo di atteggiamento. Il single che, ad esempio, è abituato a comprare del cibo confezionato produrrà più rifiuti di carta e di plastica rispetto alla famiglia che compra la carne dal macellaio, il pesce dal pescivendolo e la frutta e la verdura sciolte e si cucina tutto a casa riducendo l’immondizia al minimo possibile. Non è dimostrabile, dicevamo. Ma è ipotizzabile e, pertanto, appunto, possibile. Resta da capire come adempiere all’obbligo di pagare la Tari e come versare quello che è giusto, senza aggiungere «mance» al Comune. Vediamo la procedura ed i parametri giusti per il calcolo della tassa sui rifiuti.

Tari: l’obbligo di dichiarazione

La legge impone ai cittadini di presentare al Comune una dichiarazione di inizio occupazione dei locali. Significa, per quanto riguarda le abitazioni, che bisogna dire in Municipio che stai vivendo in quell’appartamento. Di norma, la comunicazione deve essere fatta entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si occupano di fatto i locali. Se, ad esempio, vado a vivere nella mia nuova casa a febbraio 2019, dovrà presentare in Comune la dichiarazione di inizio occupazione entro il 30 giugno 2020. Attenzione, però: alcuni enti locali hanno disposto delle date diverse, quindi è sempre meglio informarsi presso il proprio Municipio.
C’è anche da dire che non sempre questa comunicazione è obbligatoria. Succede spesso, infatti, che l’inizio occupazione dei locali venga fatta coincidere «in automatico» con il trasferimento da un Comune ad un altro e l’iscrizione all’ufficio anagrafe del Municipio in cui si va a risiedere. A quel punto, l’anagrafe chiede di rilasciare all’ufficio tributi del Comune i dati per pagare le tasse come la Tari.
Se ci sono dei cambiamenti che riguardano la composizione del nucleo familiare, non vanno dichiarate all’anagrafe, in quanto il Comune è in grado di ricavare il dato direttamente da questo ufficio. Ciò che bisognerà comunicare successivamente, sempre entro il 30 giugno dell’anno successivo o entro la data fissata dal singolo ente locale, saranno eventuali modifiche della superficie dell’immobile (mettiamo il caso di una ristrutturazione in cui «si allarga» la casa con qualche locale in più) e della destinazione d’uso. La mancata comunicazione comporta una sanzione dal 50% al 200% della tassa sui rifiuti non versata.
Ovviamente, il cittadino è tenuto a far sapere al Comune dell’eventuale abbandono dell’immobile: solo così potrà evitare di pagare la Tari per una casa in cui non abita più.

Tari: se non occupo una casa devo pagare?

Immagina di avere una seconda casa e di decidere di trasferirti per un periodo di tempo, magari per motivi di lavoro o perché hai un’attività di telelavoro e hai voglia di cambiare aria, tanto ti basta una connessione ad Internet e puoi svolgerla dove ti pare. L’abitazione che occupi normalmente resta, dunque, vuota per un tot di mesi. Devi pagare la Tari?
Intanto devi stare attento a non confonderti le idee. Una cosa è un immobile non occupato e un’altra ben diversa è l’immobile non occupabile. Qual è la differenza? Il primo avrà tutte le utenze (luce, gas, acqua) e puoi decidere di riutilizzarlo in qualsiasi momento. Il secondo, invece, cioè quello non occupabile, è quello che non ha le utenze né le condizioni per abitarci (non ci sono acqua, luce e gas, non c’è l’arredamento).
Il contribuente è esonerato dal pagamento della Tari sono in quest’ultima ipotesi, cioè quando l’immobile non è occupabile perché hai tolto le utenze e ti sei portato via i mobili. Hai fatto un trasloco, insomma, e hai chiuso definitivamente i rubinetti delle forniture. Ma attenzione: bisogna comunicarlo al Comune, il quale non può occuparsi anche di verificare se ci sei o non ci sei. La comunicazione dovrà attestare l’interruzione delle utenze (almeno quella della luce) e la mancanza di arredi. Non raccontare bugie per cercare di non pagare la tassa rifiuti: il Comune ha il diritto di verificare se la tua comunicazione risponde alla verità oppure se stai cercando di fare il furbo.

Tari: cosa controllare per pagare il giusto

Quando arriva l’avviso di pagamento della Tari, per pagare il giusto bisogna controllare innanzitutto la superficie riportata. Quella, cioè, sulla base della quale è stato stabilito l’importo della tassa rifiuti da pagare. Il Comune deve attenersi alla superficie calpestabile o catastale.
Per quanto riguarda la superficie calpestabile, è possibile verificarla sulla base della planimetria della casa. Sulla superficie catastale, invece, bisogna ricordare che la regola dell’80% tassabile vale solo in mancanza dell’indicazione sulla superficie calpestabile. Ad ogni modo, è possibile recuperare quel dato attraverso il sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione «consultazione rendite catastali», anche se per gli immobili di categoria A, cioè le abitazioni, si trova solo il numero dei vani della casa.
Resta di fatto che se salta all’occhio un errore madornale (ad esempio vedersi chiedere di pagare la Tari per un appartamento di 140 mq quando si sa che si vive in uno di circa 90 mq) non conviene pagare. Piuttosto, si va in Comune e si chiedono dei chiarimenti attraverso un ricalcolo del tributo in base alla reale superficie da tassare. Ciò allo scopo di pagare il giusto e basta.
Altri errori che si possono rilevare sull’avviso di pagamento della tassa rifiuti riguardano il numero degli occupanti dell’immobile e le quote (fissa e variabile) che determinano l’importo della Tari. L’occhio deve cadere in particolare sulla quota variabile, che deve riguardare soltanto la casa e non le pertinenze che non esistono ma che il Comune può ritenere tali.
Sulle seconde case, invece, c’è da verificare se la tariffa viene calcolata in base al numero presunto di occupanti dell’immobile e se si può fare riferimento ai membri del nucleo familiare del luogo di residenza.

Tari: cosa fare se ci sono degli errori

Se controllando l’avviso di pagamento della Tari hai riscontrato degli errori, non ti conviene andare a bussare subito in Tribunale. Piuttosto, conviene andare in Comune a chiedere dei chiarimenti presentando un’istanza in autotutela. Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica di accertamento che arriva dal Comune quando il contribuente non ha rispettato l’avviso di pagamento (anche se la procedura di accertamento può cambiare a seconda del Comune). L’istanza in autotutela non esclude la successiva presentazione del ricorso alla Commissione tributaria.
La richiesta di ricalcolo va effettuata quando l’errore rilevato riguarda, appunto, il calcolo dell’importo (ad esempio, la quota fissa o variabile sbagliata). Ma se quello riscontrato è un errore generato da un’interpretazione non giusta della legge (si tratterebbe di un errore di diritto), le soluzioni sono:
  • impugnare l’avviso di pagamento;
  • non pagare e attendere l’avviso di accertamento per impugnarlo entro e non oltre 60 giorni dalla notifica.
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