venerdì 4 marzo 2011

COSA VOGLIAMO NEL LODIGIANO?

RIFLESSIONI DEGLI STATI GENERALI DEL LODIGIANO
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COSA E COME PRODURRE NEL LODIGIANO, E PERCHE'

La nostra riflessione deve obbligatoriamente tenere conto di alcune condizioni: il futuro lo possiamo progettare, senza però la suggestione di avere davanti a noi un panorama immacolato, sul quale intervenire con assoluta libertà. Non è così.
Credo siamo tenuti a coniugare la tradizione produttiva del territorio e nello stesso ragionare in termini di aggiornamento; non possiamo disperdere una vocazione economica rurale lunga secoli, che va però aggiornata con le esigenze dell'oggi; così come le sacrosante aspettative future in termini di progresso socioeconomico territoriale sono correlate alla realtà attuale.
La Regione Lombardia, nel proprio Piano Regionale di Sviluppo, ha suddiviso il  territorio in quattro aree macroeconomiche. Alla fascia di pianura, che comprende Lodi, Cremona, Mantova e Pavia, sono state “riconosciute – affidate” due peculiarità: quella agricola e quella logistica.
Le azioni di sviluppo e le conseguenti determinazioni-dinamiche politiche ed economiche, terranno conto di questa suddivisione.

Probabilmente, il primo concetto da ribadire è la difesa del suolo  e la salvaguardia dell'ambiente: dobbiamo essere gelosi di un bene, come la nostra terra, unico ed irripetibile. Non è davvero più possibile ridurre ulteriormente le aree verdi; qualsiasi azione di urbanizzazione, sia essa di  insediamenti produttivi o abitativi, deve realizzarsi sulle numerose aree già compromesse. Pensiamo alle zone industriali dismesse, come pure alle ingenti possibilità di recupero edilizio a fini abitativi, all'interno dei paesi e delle città. Consumo zero del territorio, allora.

Dentro questo principio e parallelamente alla volontà di difendere l'ambiente, dobbiamo valorizzare il lavoro: in assoluto è la necessità prioritaria, sempre ma particolarmente oggi. Nessuna lettura esageratamente ideologico-ambientalista può quindi condizionare le possibilità di lavoro e di occupazione: un conto è la doverosa compatibilità degli insediamenti con l'ambiente circostante, altro è il soggiacere dello sviluppo, il tarpare le ali al progresso del territorio, a seguito di scelte ambientalistiche troppo radicali .

Anche perchè dobbiamo tenere conto di quanto si muove nei territori limitrofi al lodigiano. Una nostra volontà tenace di preservare l'ambiente, costi quel che costi, anche mettendo in discussione alcune tipologie di insediamenti e la conseguente occupazione, è davvero e sempre una scelta positiva? La salubrità dell'aria e più in generale la lotta all'inquinamento dipende certo da noi, non soltanto da noi. Per assurdo, potremmo lavorare qui per condizioni ambientali ottimali ed essere comunque immediatamente invasi da azioni inquinanti di territori a noi limitrofi: ne subiremmo le conseguenze, senza avere neppure il minimo beneficio. Probabilmente, sono utili comportamenti coerenti di macroaree e soprattutto azioni preventive e poi di rigoroso controllo di tali attività.

Il settore primario
L’eccellenza  produttiva della nostra agricoltura è ai massimi livelli mondiali, anche per il suo elevato grado di intensificazione. E’ necessario sostenere l'attività agricola e in particolare la sua secolare vocazione agrozootecnica, anche per il suo ruolo insostituibile di sostegno per un settore agroindustriale che ha buone potenzialità di crescita sia al livello di trasformazione aziendale dei prodotti agricoli (filiera corta) che a quello più propriamente industriale. Al contempo, è necessario limitare le esternalità negative determinate dall’intensificazione produttiva delle colture e degli allevamenti (lisciviazione di nitrati, fosforo e fitofarmaci nelle falde idriche; monocultura di mais con conseguente sviluppo di patogeni e micotossine; elevata dipendenza extra-aziendale per alimenti zootecnici proteici; etc.) attraverso ordinamenti colturali più sostenibili ed orientati a produzioni di qualità. E’ altresì importante salvaguardare l’originaria vocazione produttiva del territorio, anche limitando l’espansione di grossi impianti di biogas che, favoriti dai forti incentivi economici, ormai assorbono per il loro funzionamento anche una parte della produzione territoriale di mais prima destinata all’alimentazione zootecnica (determinando ulteriore deficit e aumento del prezzo dei mangimi). La produzione di energia in questa o altre forme (es. impianti fotovoltaici)deve rappresentare solo un complemento reddituale, evitando di minare potenzialità e capacità storiche di importanza strategica per il territorio.
Attualmente l’agricoltura lodigiana è soprattutto produttrice di materia prima che viene trasformata altrove. Ad esempio, solo il 10% del latte prodotto è trasformato o commercializzato nella provincia. L’incremento dell’attività di trasformazione e dei prodotti va promosso sia nell’ambito dell’azienda agricola (dove produce valore aggiunto) che nell’agroindustria (dove promuove occupazione e ricchezza sul territorio). L’orientamento verso produzioni tipiche, di elevata qualità o prodotte tramite tecniche di agricoltura biologica ha un particolare interesse, anche per la difficoltà di competere con le produzioni di livello qualitativo medio-basso che sono proprie delle grandi imprese agroindustriali nazionali o transnazionali. Per quanto attiene specificamente all’agricoltura biologica, l’UE si è posta obiettivi di grande sviluppo anche a fronte di un mercato in costante crescita, ma la nostra provincia è nettamente ultima tra quelle lombarde per numero di aziende agricole (una diecina, ad esempio rispetto alle oltre 240 del pavese). Questo tipo di agricoltura merita particolare incoraggiamento nelle aree che ospitano parchi.
E’ necessario creare le condizioni per lo sviluppo delle filiere sia biologiche che convenzionali, anche attraverso la creazione di tavoli tecnici di confronto tra gli esponenti interessati del mondo produttivo e le istituzioni di ricerca che sono così abbondanti sul territorio (il Parco Tecnologico Padano; il Centro di ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie e le Unità di ricerca per la Cerealicoltura e per l’Orticoltura del CRA; etc.). E’ altresì necessario stimolare lo sviluppo di filiere locali favorendo l’incontro tra produttori (di latte, carni, etc.) e industrie di trasformazione. L’attività delle realtà agroindustriali già presenti (Macello Inalca, Industria Casearia Ferrari, Stella Bianca, Polenghi, Solana, Ortoverde) va rafforzata, creando le condizioni per nuovi insediamenti produttivi agroindustriali. L’istituzione di un mercato settimanale contadino a Lodi e la promozione di altre iniziative in grado di collegare produttori e consumatori potrebbero contribuire al rafforzamento delle piccole realtà aziendali e agroindustriali locali che sono impegnate nella produzione di prodotti tipici, biologici e di qualità e in un modello di agricoltura più sostenibile ed ecocompatibile.Il numero relativamente esiguo degli addetti occupati in agricoltura (circa 4.000 persone tra lavoratori autonomi e dipendenti) non può essere considerato l'unico elemento di giudizio e va comunque considerato alla luce degli sviluppi potenziali dell’attività agroindustriale. Su questo tema forse è appropriata una riflessione (che compete in altro ambito) sulla cultura formativa delle nuove generazioni, con un'attenzione tutta particolare all'alto numero degli immigrati che lavorano negli allevamenti. 

Il settore della logistica
Nel nostro territorio, sono circa diecimila le persone occupate in questo settore. Più che assumere atteggiamenti di contrasto assoluto ad eventuali, ulteriori insediamenti, occorre essere inflessibili nel localizzarli su aree già compromesse, comunque in localizzazioni estremamente prossime ai grandi snodi viabilistici. Questo settore  assicura una certa occupazione: è necessario bonificare rapporti di lavoro spesso ai limiti, se non al di fuori delle norme ed agire sull'applicazione di contratti che consentano salari degni a chi vi lavora.
Un ruolo importantissimo, in tal senso, compete alle amministrazioni locali: sono esse che sottoscrivono protocolli nei casi di insediamento e devono prevedervi, tra gli altri vari requisiti, corrette tipologie di rapporti di lavoro e compensazioni economiche legate alle promesse occupazionali disattese. Il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, quasi una sottoscrizione per conoscenza, può davvero evitare furbizie e sotterfugi. Un raccordo serio è pertanto auspicabile, così come un'azione formativa-ispettiva sulle condizioni di sicurezza in questi siti. No alle logiche di sola compensazione.

Le attività industriali
Si è fortemente ridotta la presenza delle grandi industrie: nel settore chimico ed in quello meccanico le perdite occupazionali sono state pesantissime, soprattutto per effetto di scelte di società multinazionali. Si tratta di due comparti che hanno profondamente segnato il territorio, nel bene e nel male, e che possono ancora essere riferimento importante per l'economia locale e l'occupazione.
La grande area urbanizzata, limitrofa alla Centrale Sorgenia di  Bertonico, può essere elemento catalizzatore e fortemente competitivo per nuove realtà industriali con interessanti dati occupazionali. 

Il mondo dell'artigianato e del commercio
Hanno reagito meglio di altri  ai venti della crisi. Sono comparti estremamente legati agli altri settori economico-produttivi, portatori di una capacità apprezzabile di risposta sociale e locale. Vanno seguiti con azioni di accompagnamento molto specifiche e soprattutto nel caso della Grande Distribuzione commerciale, devono sempre più correlarsi con l'effettiva necessità del territorio .

Il prezzo della crisi
Nella nostra provincia, il numero dei disoccupati, a fine settembre, è pari a 10.591 persone, contro i 9.330 del settembre 2009: il 13,5% in più.
Gli iscritti nelle liste di mobilità sono 1.856 (il 37% in più rispetto ad un anno fa).
L'analisi sui dati riferiti alle comunicazioni obbligatorie, evidenziano il calo degli avviamenti al lavoro (meno 3,2%): dato inferiore alla media regionale in tutti i settori.
Rimane elevato ed in crescita rispetto al trimestre precedente, il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni: nel II trimestre 2010, le ore CIG sono aumentate del 22% rispetto al trimestre precedente e nel I semestre 2010 le ore CIG complessivamente autorizzate sono state oltre 2,3 milioni.
Davanti a questi dati e con  una tendenza nel medio periodo parecchio preoccupante, è facile ipotizzare nessuna ripresa occupazionale significativa nei prossimi tre anni. A meno che, come si è detto, non si lavori con estrema determinazione nel rendere appetibili nuovi insediamenti produttivi.

missiva redatta da quanto emerso al tavolo di lavoro della commissione 3 da :
Paolo Annicchiarico (PhD)
Dirigente di Ricerca
C.R.A. - Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie
viale Piacenza, 29
26900  Lodi
tel.:   +39 0371 404751
fax:    +39 0371 31853
email:  paolo.annicchiarico@entecra.it

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